Di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Dato che la Germania ha avuto un calo di produzione industriale nell’ ultimo trimestre maggiore dell’ Italia (-4,7 per cento contro -2,5 per cento) non c’ è dubbio che la congiuntura globale conti. L’ Olanda ad esempio ha un calo di produzione industriale e di Pil molto marcato e l’ intera eurozona mostra indicatori economici simili a quelli del 2011-2012. Dato però che l’ Italia è anche l’ unico Paese industriale al mondo (oltre al Brasile e l’ Argentina) per ora ad essere entrato in recessione, non c’ è dubbio che questo fatto non sia positivo per l’ attuale governo. Proviamo a capire offrendo una chiave di lettura diverse da quelle solite.
Chi avesse letto i nostri precedenti articoli su questo giornale può constatare che è da settembre che abbiamo previsto l’ arrivo della recessione e il motivo è semplice: se si riducono i soldi che circolano l’ economia peggiora. La maggioranza degli economisti menziona tanti altri fattori, ma non è mai in grado di prevedere quando arriva una recessione. Questo vale – sia detto per inciso – anche per Paolo Savona.
Ci sono in effetti tante altre cose (incertezza e aspettative, incentivi, produttività, fiducia, tassi), ma se lo Stato tassa di più e le banche riducono il credito, i soldi che circolano si riducono e dato che l’ economia è alla fine la somma di milioni di transazioni monetarie, con meno denaro in giro la quantità di queste transazioni si riduce e di conseguenza anche la produzione.
Un calo di 40 miliardi – Chi aumenta o riduce la quantità di denaro che circola sono le banche e in Italia dalla primavera dello scorso anno hanno ridotto in modo massiccio il credito alle imprese. Per la precisione il credito alle imprese è collassato in Italia da circa 910 miliardi nel 2008 a meno di 700 miliardi oggi, con un calo di oltre 40 miliardi negli ultimi mesi. I numeri della “manovra” del governo in confronto sono irrilevanti, perché in pratica è previsto lo stesso deficit dell’ anno prima e sposta 10-12 miliardi verso reddito di cittadinanza e pensioni anticipate, prendendoli da tasse e investimenti.
Ma perché le banche tagliano il credito alle imprese? il motivo è semplice: non sono più sotto il controllo del governo italiano, ma della Bce e della Ue che impongono loro di svendere in fretta i crediti incagliati, facendo segnare loro perdita a bilancio e costringendole quindi a tagliare il credito. Inoltre sono ora tutte controllate da fondi e investitori esteri.
In Germania invece lo Stato ha dato alle proprie banche garanzie per centinaia di miliardi di euro (436 miliardi per la precisione), cioè si è impegnato a pagare lui se non dovessero ripagare loro i bond o finanziamenti che hanno. Inoltre ci sono 1.500 banche locali piccole non quotate in borsa (Sparkassen e Landesbanken) che evitano il controllo della Ue perché sono pubbliche (comandano i Comuni e i Länder, come succedeva in Italia per le banche popolari). Complessivamente lo Stato in Germania si è impegnato a dare garanzie a società pubbliche (come queste centinaia di banche locali) per una cifra pari al 93 per cento del Pil. L’ Olanda ha fornito garanzie pubbliche a società pubbliche (più che altro finanziarie) per il 103 per cento del Pil. L’ Italia invece solo per il 55 per cento del Pil. Come si sa però le “garanzie” sono passività che non vengono computate nel totale del debito pubblico (perché non c’ è esborso di denaro), per cui l’ Italia risulta lo stesso più indebitata.
Conclusione. Lo Stato italiano ha perso il controllo delle proprie banche negli anni dell’ euro. Prima ha fatto fondere, soprattutto sotto Prodi e D’ Alema, dozzine di banche locali e ha privatizzato tutte le banche pubbliche, poi ha ceduto sulla supervisione della proprie banche alla Bce e alla Ue e alla fine ha persino privatizzato le popolari (rendendole cioè società per azioni vere e proprie). Il risultato è che le banche italiane sono in mani straniere, persino l’ amministratore delegato della più grande banca italiana, Mustier, è francese e cerca ora di fonderla con un gruppo estero. Le nostre banche soprattutto sono state costrette, a differenza delle banche di altri Paesi, a svendere in fretta i crediti incagliati invece di aspettare che gradualmente venissero ripagati.
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