Di Gerry Freda
George Soros, intervenuto in questi giorni al forum di Davos, ha lanciato un duro attacco verbale all’indirizzo del governo cinese.
Durante il meeting economico svizzero, l’ottantottenne miliardario americano di origini ungheresi ha additato le politiche sviluppate dal presidente Xi Jinping come “una minaccia senza precedenti al mondo libero”. Il magnate ha infatti dichiarato che il gigante asiatico sarebbe “il più preoccupante regime autoritario sulla faccia della Terra”, più pericoloso persino della “Russia di Putin”. Tale “estrema pericolosità” dell’esecutivo cinese sarebbe determinata dal possesso, da parte di quest’ultimo, di una “grande forza economica” e di una “spiccata propensione all’impiego delle nuove tecnologie”.
Proprio tale propensione contribuirebbe ad accentuare “in maniera estrema” i tratti “tirannici” del governo del Paese orientale. Grazie a un massiccio utilizzo dell’“intelligenza artificiale”, Xi Jinping starebbe infatti trasformando la nazione asiatica, a detta di Soros, in una “società controllata capillarmente dagli occhi elettronici delle autorità”.
L’intervento del miliardario al forum di Davos è quindi proseguito con aspre critiche verso il progetto, promosso da Pechino, della “Nuova via della seta”, bollato dall’ottantottenne come “diretto esclusivamente a promuovere gli interessi della Cina a scapito di quelli delle altre nazioni”. Egli ha poi definito la crescente influenza economica dell’ex “Celeste Impero” in Africa come fondata sulla “sistematica corruzione dei funzionari locali” e su una vera e propria “razzia delle risorse di quel continente”.
Soros ha inoltre esortato l’amministrazione Trump a perseguire la “tolleranza zero” nei confronti del Paese orientale. Il tycoon, invece di “avventurarsi in guerre doganali con il mondo intero”, dovrebbe infatti, a detta del magnate, “concentrarsi su come contrastare la minaccia rappresentata da Pechino”. In particolare, l’inquilino della Casa Bianca dovrebbe, al fine di salvaguardare la società americana dalle “nocive infiltrazioni cinesi”, varare rigidi divieti all’ingresso negli Usa dei “prodotti tecnologici” della nazione asiatica. Ad avviso del fondatore delle Open Society Foundations, questi ultimi, soprattutto i dispositivi Huawei e Zte, sarebbero programmati per effettuare un “sistematico spionaggio” dei cittadini statunitensi.
Soros ha concluso il suo intervento a Davos rivolgendo un “forte incoraggiamento” al popolo cinese, da egli indicato come “non ancora completamente appiattito sulla linea dell’esecutivo”. Secondo l’ottantottenne, all’interno della società civile della nazione orientale starebbe infatti sempre più maturando un “istinto di ribellione” alle ingerenze del Partito comunista e lo sviluppo di tale sentimento farebbe “ben sperare” circa una “non troppo lontana democratizzazione” del gigante asiatico.
Per il momento, le autorità dell’ex “Celeste Impero” non hanno rilasciato commentiufficiali sulle “parole di fuoco” rivolte nei loro confronti dal fondatore delle Open Society Foundations.
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