Di Nora Bensaâdoune
Mentre alcuni manifestanti stanno creando disordini nella capitale, altri stanno ridando vita ad angoli dimenticati della Francia rurale.
Quando ho lasciato Parigi quattro anni fa per stabilirmi nella bella valle della Drôme, nel sud-est della Francia, sono andata in un villaggio non lontano dalla città di Valence. Volevo essere vicina ad una stazione ferroviaria ad alta velocità, ma in un luogo abbastanza remoto da poter finalmente godermi l’aria fresca e l’ambiente rurale. A quel tempo, non mi aspettavo di trasferirmi da un mondo ad un altro. Avevo calcolato di fare viaggi regolari nella capitale. Parigi è però gradualmente diventata un concetto confuso e distante. Quando vado a visitare gli amici, sembra una città sospesa, come intrappolata in una bolla, che nasconde con cura le sacche di povertà e mostra invece con orgoglio i propri trofei culturali e templi di consumo.
La vita qui, al contrario, è tranquilla, quasi al rallentatore. La cassiera del negozio locale si prende il tempo di chiacchierare con i clienti e nessuno si lamenta, a differenza di Parigi. Quando si vede qualcuno di fretta, spesso si dice: “Ah, quello viene dalla città”.
Sempre più persone di città si rifugiano qui, tra le Alpi e la Provenza, nella principale regione francese di produzione di alimenti biologici. Noi quarantenni alla ricerca di un nuovo significato alla vita spesso ci raggruppiamo. Siamo facili da individuare, frequentiamo i mercati locali con borse di tela di iuta e riempiamo le nostre dispense con barattoli di conserva. I supermercati sono per “gli altri”.
Fino ad un mese fa, quando sono iniziate le proteste dei gilet gialli avevo avuto pochi contatti con “gli altri”, principalmente artigiani, impiegati e piccoli imprenditori. L’altra sera però io ed il mio compagno, un agricoltore locale, ci siamo fermati a chiacchierare con un gruppo di persone che protestavano ad una rotonda. Il gruppo di uomini in piedi intorno ad un fuoco sembrava contento di vederci.
“Non fa troppo freddo”, ha detto il mio compagno. “No, no, abbiamo visto di peggio”, gli risponde un uomo. “Il cambiamento climatico è un mucchio di sciocchezze: non esiste”, ha proseguito, lamentandosi di uno dei motivi per il quale il governo ha introdotto l’aumento della tassa sul carburante, che ha poi innescato le proteste. “Davvero,” chiedo io, “ma che dire di tutte le inondazioni e dell’ondata di caldo di quest’estate?”. “Ascolta”, mi risponde, “abbiamo avuto un’ondata di caldo nel ’60 e nel ’76. Sei troppo giovane per saperlo, ma io ho 70 anni e sono nato in campagna. Te lo garantisco: ci stanno mentendo”. La parola “loro” indicava una totale sfiducia nei confronti dei media e delle élite.
“Cosa avrebbero però da guadagnare mentendoci sul cambiamento climatico?”, chiedo. “Beh, ovviamente, l’aumento del prezzo della benzina!”, mi risponde. Era una logica stringente, ma sentivo che si appigliava ad un periodo apparentemente stabile e rassicurante in cui le stagioni seguivano uno schema immutabile. Sentivo la sua paura di un mondo che si stava incrinando, il tipo di paura che ci impedisce di vedere ciò che è evidente.
Un gilet baffuto con i capelli bianchi ci si avvicina con un’altra spiegazione: “È tutta colpa degli immigrati. L’Africa ci sta invadendo. A questa gente sta bene lavorare per 1€ all’ora. Rende anche noi più poveri. Non contiamo più nel nostro paese”. Era buio, e non poteva vedere che ero mulatta. “Non pensi di accreditare ai migranti un potere esagerato?”, suggerisco. “Non è per caso che sono le multinazionali a dettare i termini nel mercato del lavoro e ad intascare i profitti?”. Si ferma ed annuisce: “Sì, hai ragione”. Aggiunge: “Qui abbiamo sempre accolto tutti – italiani, polacchi, portoghesi – nessun problema. Negli anni ’70, nel nostro condominio di Valence, salutavamo sempre i nostri vicini algerini. Le donne allora non indossavano il velo. Andava tutto bene”.
Una scatola con fette di pizza all’interno veniva fatta girare. Un’automobile suona il clacson ai gilet gialli in segno di sostegno. L’uomo con i baffi alza le braccia per formare una V ed urla: “Popolo di Francia, alzati!”. Ennesimo segno di quanto profondamente le idee della Le Pen siano entrate nelle menti della gente.
Un altro gilet si unisce e dice: “Non sono d’accordo. È vero che qui ci sono sostenitori del Front National, ma tutte le fazioni sono rappresentate, e l’importante è che tutti ci stiamo parlando. Non vogliamo avere nulla a che fare con i partiti. Mi sono appena unito al movimento, di solito non vado mai alle dimostrazioni. Ora però sono stufo, e soprattutto odio Macron. Non sopporto quanto sia arrogante. Voglio che l’intero sistema cambi, non solo il prezzo della benzina”.
Come molte persone nella valle della Drôme, vive a 20 o 30 km dal proprio posto di lavoro a Valence. Poiché i servizi ferroviari sono stati tagliati, non ha altra scelta che guidare. A Parigi si può pedalare e noleggiare auto elettriche. Qui non c’è niente del genere.
“Continueremo ancora”, insiste il gilet. Uno di loro spiega con orgoglio che avrebbe continuato a stare lì alla rotonda, nonostante il duro lavoro di tutta la settimana. Era pieno di entusiasmo. In realtà tutti sembravano contenti di socializzare, di discutere del lavoro, della vita e delle loro speranze di creare un mondo diverso.
Alcuni di loro vorrebbero che i gilet fossero parte di una campagna più ampia per allontanarsi dal capitalismo: meno macchine, meno consumi, migliore qualità della vita, un pianeta sicuro. Altri però sottolineano le enormi crepe in Francia: “Alcuni possono permettersi di pensare alla fine del ‘sistema’, ma la maggior parte pensa solo a come arrivare a fine mese”.
Tra le migliaia di gilet che si trovano in questo paese, ognuno ha la propria storia, ed ognuno sta vivendo qualcosa di completamente nuovo. Per la Francia anche questo è diverso. I gilet hanno portato vita e colore a luoghi che molti pensavano fossero morti. In queste aree rurali, dove così tanti negozi sono stati chiusi e dove le organizzazioni sociali stanno scomparendo, il movimento sta creando un senso di appartenenza, aiutando le persone a connettersi ad un qualcosa di più grande.
Non è chiaro se la dichiarazione tv di lunedì di Macron, che dovrebbe prendere l’impegno di aumentare il salario minimo, arginerà la rabbia. Potrebbe persino infiammarla ulteriormente. Come ex abitante di una città, potrei allontanarmi dai gilet, ma in fin dei conti preferisco di gran lunga una rabbia che porta la gente fuori casa e suscita dibattiti, piuttosto che una paura che separa le persone. La paura può bloccare un’intera società.
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di HMG
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