Nell’articolo precedente avevamo riportato i termini del dibattito interno sulla reintroduzione della leva militare per diciottenni in Germania, oltre che delle cicliche campagne di reclutamenti dell’esercito tedesco che non hanno disdegnato perfino di arruolare minorenni. Inoltre si è dato conto di una serie di esercitazioni Nato nel cuore dell’Europa, nelle quali il comando tedesco ha avuto un ruolo di guida. Ma se una guerra sul terreno si verificasse veramente, quale sarebbero le misure estreme cui la Germania dovrebbe ricorrere?
Forse un principio di risposta a questa fatidica domanda è possibile ricercarla in un articolo apparso ancora in luglio dell’anno scorso. Nell’occasione era uscito l’immancabile inserto settimanale del prestigioso quotidiano “Die Welt“, che aveva aperto con il seguente emblematico titolo: “Brauchen wir die Bombe?“ (Abbiamo bisogno della bomba?). A rispondere in maniera positiva al quesito è stato il politologo tedesco Christian Hacke. L’accademico, ora in pensione, era stato per anni collaboratore della “Fondazione Adenauer“, politicamente vicina alla CDU, mentre prima aveva lavorato come professore ordinario di Scienze politiche e Sociologia presso l’università di Bonn. Tra i suoi vari titoli si può inoltre annoverare la presenza come visiting scholar in diverse università americane.
Il testo inizia con un mero elenco delle politiche adottate da Trump dal momento della sua elezione a Presidente: secondo l’accademico, da una parte il Presidente statunitense non ha disdegnato l’approccio diplomatico con dittatori come il nordcoreano Kim e l’immancabile Putin, mentre dall’altra non ha mai smesso di considerare l’Unione Europea e la Germania come pericolosi concorrenti economici. Nella seconda parte, che interessa direttamente la Germania, il cambio di passo è perfino tragico. Emerge chiaramente l’immagine di una Germania (nuovamente) assediata ed isolata.
Riportando testualmente le sue parole si scopre come “questa rottura culturale all’interno della società americana sia particolarmente dura per i suoi alleati, specialmente la Germania. Se la Repubblica Federale è stato l’alleato europeo preferito dagli USA per oltre settant’anni, oggi ha uno status speciale: è considerata il nemico numero uno di Trump“. Da questa rottura, considerata irreversibile, dei rapporti tedesco-americani ne deriverebbe per l’autore la totale esposizione della Germania nei confronti di una minaccia nucleare. Se infatti, questo il suo ragionamento, l’America di Trump ha deciso di voltarle le spalle, ciò comporterebbe una sua totale mancanza di copertura militare. Da qui l’esigenza di dotarsi dell’atomica, sia per difendere il proprio status di potenza geopolitica, sia per rimediare al disimpegno americano. Un altro punto a favore del programma nucleare sarebbe la sua funzione di deterrenza nei confronti di potenze straniere ostili in caso di gravi crisi diplomatiche. Hacke cita a tal proposito l’annessione della Crimea da parte dell’onnipresente Russia che, a suo modo di vedere, non si sarebbe mai potuta verificare qualora la Germania avesse detenuto degli ordigni nucleari ed avesse minacciato Putin di usarli in caso di escalation della crisi. Secondo l’accademico, qualora la politica tedesca applicasse alla lettera le sue indicazioni, lo svantaggio militare si potrebbe ridurre in pochi anni.
Il dibattito è comunque aperto: la versione tedesca dell’Huffington Post si è¨ dimostrata del tutto contraria all’ipotesi di un armamentario nucleare, citando con terrore la possibilità che ad usufruirne sia un governo di estrema destra composto dall’AfD. Inoltre si fa balenare l’eventualità , non del tutto remota evidentemente, che altri Paesi europei “autoritari” come la Polonia e l’Ungheria possano seguire il passo tedesco, determinando così le condizioni per un’escalation imprevedibile. D’altronde il titolo già di per sè dovrebbe parlare chiaro: “Se la Germania costruisce la propria bomba, l’intera Europa sarà in fiamme“. Anche il “Tagesspiegel” non è entusiasta della scelta nucleare, sia per la corsa agli armamenti mondiale tra Est ed Ovest già in corso, sia per la progettazione americana di alianti supersonici con testate nucleari incorporate, che sarebbero così veloci da rendere impossibili delle contromisure efficaci. Se a questo contesto aggiungiamo la dichiarazione pubblica di Trump di voler uscire dagli accordi START del 1987 tra Reagan e Gorbaciov sulla non proliferazione nucleare e l’altrettanto contemporaneo sviluppo in Russia di missili atomici supersonici, trasportabili anche tramite sommergibili, allora forse sarebbe più saggio raffreddare il clima piuttosto che surriscaldarlo.
Lo stesso Hacke deve prendere atto che i tempi non sono ancora maturi per una german nuke: “Sfortunatamente, per ragioni di correttezza politica e a causa della mancanza di coraggio civile oltre ad inadeguate considerazioni strategiche militari, la questione è stata completamente rimossa in Germania fino ad ora. In relazione a questa domanda ci si comporta come le tre scimmie: non dire, non sentire, non vedere. Ma la Germania deve affrontare il problema e discuterlo pubblicamente senza riserve e paraocchi. L’umore pacifista di base gioca un ruolo decisivo. Ma non sarebbe intelligente se le controverse questioni di sicurezza fossero fin dall’inizio diffamate come militariste“.
Il dado, per ora solo mediatico, è stato tratto, e vedremo se il peggioramento delle relazioni internazionali nei prossimi anni “costringerà ” la Germania al grande passo.
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