Di Andrea Muratore
Il tema della vigilanza bancaria è fondamentale per determinare gli equilibri economici all’interno dell’Unione europea. Ogni anno, gli “stress test” a cui vengono sottoposte le banche dell’Eurozona rappresentano una tappa fondamentale, temuta da ogni istituto visto il rischio che la vigilanza comunitaria, oggi guidata da Danièle Nouy, opti per la richiesta di misure di aggiustamento strutturale dei bilanci delle banche.
Come fa notare StartMag, “dei tre pilastri che costituiscono l’Unione Bancaria (supervisione bancaria, risoluzione delle crisi e garanzia dei depositi), la supervisione unica è l’unico che può dirsi completato. L’organismo unico per la risoluzione delle crisi bancaria (Single Resolution Board) è costituito e funzionante ma dispone di risorse limitate; il terzo pilastro, la condivisione dei rischi, è tuttora in alto mare, perso nelle nebbie della diffidenza tedesca che vede come il fumo negli occhi la condivisione dei rischi delle banche italiane con quelle tedesche”. Invero, dovrebbe essere l’opposto: per anni la vigilanza bancaria ha martellato con decisione le banche italiane per la cospicua presenza di crediti deteriorati nei loro bilanci, ignorando le problematiche strutturali di istituti come Deutsche Bank, sommersi da una marea di derivati tossici e estremamente sottocapitalizzati (il titolo del colosso di Francoforte ha polverizzato il 94% del suo valore nell’ultimo decennio).
Con un’inchiesta che corona un periodo di ripresa della sua grande tradizione giornalistica dopo anni di appannamento, il Sole 24 Ore ha di recente svelato un versante a dir poco inquietante del mondo della vigilanza. Scoprendo un mondo di mezzo che vede l’interconnessione tra gli appalti della vigilanza della Bce a società finanziarie per esternalizzare il lavoro di sorveglianza e l’intervento di società di consulenza esterne a sostegno delle banche sotto osservazione, capace di generare un giro d’affari miliardario.
Come ha scritto sulla prestigiosa testata finanziaria Alessandro Plateroti, “più le authority rendono duri e complessi gli stress test, più sale la posta in gioco nel grande piatto delle regole bancarie. Sembra un paradosso, ma la quantità di denaro messa in moto dal sistema bancario per sostenere gli esami patrimoniali, si avvicina rapidamente al valore degli aumenti di capitale imposti alle banche bocciate nei test. Tra il 2014 e il 2018, il costo globale legato ai test è salito in modo esponenziale, toccando l’anno scorso i 20 miliardi di dollari di spesa. Le authority dicono che questo è il modo migliore per dare sicurezza ai risparmiatori e certezze ai mercati, ma i risultati sono purtroppo modesti: con esami o senza esami, i titoli del settore bancario restano la Cenerentola dei listini”.
L’elevato livello di know-how richiesto per maneggiare le dinamiche finanziarie che emergono nella vigilanza porterebbe a ritenere legittima una serie di procedure e controlli chiaramente definiti e trasparenti per il mercato, nella selezione e nell’assegnazione dell’incarico da parte dell’ente di vigilanza. Nulla di tutto ciò è accaduto.
Anzi, risulta addirittura contradditoria la scelta di coinvolgere nel processo di vigilanza il colossale fondo BlackRock, che gestisce trilioni di dollari di asset e “pur investendo sulle banche, lavora a contratto con la Bce sui test. Per sua stessa ammissione, ha firmato contratti di consulenza con due terzi degli istituti di credito internazionali per aiutare a superare gli esami. Ma questo è niente: sulla giostra degli esami bancari c’è posto per tutti. Non solo per i consulenti ‘double face’, cioè le società che lavorano per il controllore e i controllati, ma persino per i consulenti dei consulenti: chi è interessato, può entrare nel business delle pagelle bancarie attraverso i ‘corsi di formazione agli stress test’ organizzati proprio dagli stessi colossi che si spartiscono il business”.
Gli attori che operano nel campo della vigilanza bancaria dovrebbero essere come la moglie di Cesare: al di sopra di ogni sospetto. Così non è, e anzi sul business della vigilanza è andato in frantumi anche il tradizionale consenso franco-tedesco, come constatato dalle missive tra la transalpina Nouy e l’ex ministro delle Finanze di Berlino Wolfgang Schauble riportate dal Sole.
La presenza di BlackRock tra i controllori delle banche deve essere apparsa a Schauble come un palese conflitto di interesse e soprattutto come una falla potenzialmente pericolosa nel sistema di controllo e garanzia della riservatezza dei dati sensibili di ogni singola banca. “Vorrei sapere al più presto – ha scritto Schauble alla Nouy – se sono già stati accertati episodi di violazione degli obblighi di riservatezza, o se uno dei consulenti ha mai usato a proprio vantaggio informazioni ottenute nel corso degli stress test”. A queste accuse la Nouy ha risposto sottolineando che “tutti i contratti della Bce con soggetti privati impongono l’obbligo della riservatezza e quindi non c’è ragione per preoccuparsi”.
Parole che non aiutano certamente a distendere il clima tutt’altro che sereno che circonda le banche europee. “A parziale scusante della Vigilanza”, sottolinea La Verità, “bisogna riconoscere che gli ultimi trascorsi sono stati anni molto complessi, sia dal punto di vista macroeconomico, che sul versante della normativa bancaria. Tuttavia, piuttosto che sulla restituzione della capacità da parte delle banche di offrire sostegno all’economia reale, ci si è preferito concentrare sulla tenuta del sistema nell’eventualità di una nuova crisi. Basti pensare all’insistenza del regolatore sui crediti deteriorati, una vera e propria ossessione per la Nouy. Le banche italiane, a seguito dell’ incessante pressing della Vigilanza, si sono trovate costrette a cedere in fretta e furia oltre 150 miliardi di crediti inesigibili, spesso in favore di soggetti stranieri. Spesso lo si dimentica con troppa facilità, ma dietro a quei finanziamenti andati ‘a male’ ci sono famiglie e imprese italiane in difficoltà”. E se nella narrazione una bomba è stata disinnescata, non è venuto meno il detonatore più pericoloso, quello dei derivati tossici. E il silenzio da parte del governo di Roma sul tema del rafforzamento della vigilanza è deleterio, in quanto non contribuisce a impostare un rovesciamento di prassi che vede l’Italia sfavorita.
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