Donald Trump vola in Iraq: una visita a sorpresa, la prima nei panni da comandante in capo dell’esercito Usa, per visitare truppe all’estero in zone di combattimento. Il viaggio organizzato in gran segreto arriva nel mezzo dello shutdown e a meno di un settimana dall’annuncio del ritiro delle truppe americane dalla Siria. Una decisione, legata alla “vittoria” sull’Isis, che ha scatenato una vera e propria bufera sul presidente sia in casa - con le dimissioni del capo del Pentagono James Mattis - sia fuori, con gli alleati infuriati.
In Iraq, davanti alle truppe alla base al-Asad, Trump accompagnato dalla First Lady Melania ha detto che al momento non ci sono piani per un ritiro delle truppe americane dal paese e ha difeso la sua scelta sulla Siria. La presenza americana nel Paese non è mai stata a tempo indeterminato, ma aveva come obiettivo quello di strappare all’Isis le sue roccaforti militari. Un obiettivo centrato, secondo Trump che scarica sulla Turchia di Recep Tayyip Erdogan il compito di occuparsi di quello che resta dello Stato islamico in Siria.
Gli Stati Uniti - aggiunge Trump - non hanno mai avuto un ruolo nella ricostruzione del Paese: questo tipo di ruolo dovrebbe essere svolto da altri paesi ricchi. «I paesi dell’area devono farsi avanti e assumersi una maggiore responsabilità » dice ai soldati americani. Un ruolo, secondo Trump, ce l’ha l’Arabia Saudita: il tycoon ha riferito che Riad si è detta d’accordo ad aiutare nella ricostruzione in Siria.
Quindici anni dopo l’invasione del 2003, gli Stati Uniti hanno ancora 5.000 truppe in Iraq che sostengono il governo locale nella sua battaglia contro quello che resta dell’Isis. Per i presidenti americani visitare le truppe è una tradizione. George W. Bush aveva servito il tacchino il giorno del Ringraziamento ai soldati a Baghdad nel 2003. Barack Obama era volato, sempre a Baghdad nell’aprile del 2009, quattro mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca.
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