Cortei, manifestazioni e blocchi stradali da parte dei separatisti catalani stanno segnando nelle principali città della regione l’anniversario del referendum indipendentista disconosciuto da Madrid. A Girona – riferisce il sito La Vanguardia – alcuni militanti hanno fatto irruzione nella sede locale della Generalitat, l’istituzione a capo della Catalogna riconosciuta da Madrid, con l’intenzione di strappare la bandiera spagnola. Manifestazioni sono in corso anche a Barcellona. “Non dobbiamo desistere dall’unico modo possibile per vivere in una piena democrazia: la Repubblica e il suo riconoscimento internazionale” dice il leader separatista catalano in esilio in Belgio, Carles Puigdemont, diffondendo via social un appello al popolo catalano a restare unito nel perseguire l’obiettivo di distaccarsi dalla Spagna. Nei giorni scorsi ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia con arresti e feriti.
Proteste hanno preso il via in varie zone della Catalogna fin dal primo mattino: i separatisti convocati via social dai Comitati per la Difesa della Repubblica (Cdr) hanno bloccato le principali strade, autostrade e ferrovie del nordest. I disagi maggiori a Girona, a nord di Barcellona, dove centinaia di attivisti hanno occupato i binari dell’alta velocità, mentre la polizia locale tentava di impedire l’accesso alla stazione. Blocchi stradali hanno interessato l’autostrada AP-7, principale arteria che collega con il confine francese, e le strade centrali di Leida e Barcellona, dove è prevista una grande manifestazione unitaria convocata dal presidente della Generalitat, Quim Torra, a partire dalle 18.30 di oggi, preceduta da vari appuntamenti ufficiali. Per le 22 di stasera gli universitari hanno indetto una “cacerolada” per chiedere la scarcerazione dei politici secessionisti ancora in prigione.
La mobilitazione è però già in atto: i Cdr hanno dato il via già alle 7 a tre ‘azioni a sorpresa’ in contemporanea in diversi punti della capitale: piazza Catalunya, il Mercado di Santa Caterina e piazza la plaza Letamendi. Migliaia di studenti presidiano pacificamente le strade di Barcellona, dove per mezzogiorno è previsto anche un corteo dai Jardinets de Gracia. Quim Torra e il resto del governo catalano erano invece questa mattina intorno alle 9 a Sant Julià de Ramis, dove la polizia intervenne un anno fa, davanti alle telecamere in diretta, per impedire con la violenza di esercitare il diritto di voto. Era il seggio dove avrebbe dovuto votare Puidgemont, che aveva poi depositato altrove la sua scheda. Sul posto, uno striscione dei separatisti con scritto: “Non dimenticheremo, non perdoneremo“.
Un anno fa il referendum disconosciuto da Madrid
Al primo anniversario del referendum non autorizzato sull’indipendenza della Catalogna, consultazione che ha fatto piombare la Spagna nella peggior crisi politica da decenni, si è arrivati in un crescendo di tensioni. Anche perché la spinta separatista nella regione non nasceva quel giorno, ma cresceva da anni. Nel marzo 2006 il Parlamento spagnolo approvò un nuovo statuto che rafforzava l’autonomia della Catalogna, aumentando i suoi poteri fiscali e giuridici, descrivendo la regione come una “nazione”. Ma nel 2010, dopo un appello del Partito popolare (Pp), la Corte costituzionale stabilì che la parola “nazione” “non aveva valore legale”. Il tribunale respinse anche il riferimento al catalano come “lingua preferita”. La decisione scatenò la protesta di centinaia di migliaia di catalani, che scesero nelle strade a dimostrare la propria contrarietà. Nel settembre 2012, nel giorno ‘nazionale’ catalano, più di un milione di persone manifestò a Barcellona per chiedere che la regione diventasse un nuovo Stato, mentre tutta la Spagna viveva un periodo di dura crisi economica. Giorni dopo, l’allora premier Mariano Rajoy il cui Pp era al potere rifiutò di negoziare maggior autonomia di bilancio con il presidente catalano, Artur Mas. Nel novembre 2014 la Catalogna sfidò Madrid e portò avanti un referendum simbolico e non vincolante sull’indipendenza. L’affluenza fu del 37%, di cui l’80% si espresse a favore della secessione. Nel settembre 2015 i partiti pro-indipendenza ottennero la maggioranza assoluta nell’Assemblea regionale e a novembre i deputati separatisti votarono in blocco per avviare il processo di separazione, ma la risoluzione fu bocciata dalla Corte costituzionale di Madrid. Nel gennaio 2016 il separatista Carles Puigdemont diventò presidente della regione e annunciò un referendum per l’autodeterminazione il 1 ottobre. La Corte costituzionale vietò il voto e man mano che la data si avvicinava la polizia arrestò funzionari e sequestrò materiale per il voto. Intanto, i catalani manifestavano. Nel giorno del referendum le forze di sicurezza intervennero sequestrando le urne delle schede in almeno 100 seggi: le immagini delle violenze che avvennero fecero il giorno del mondo. L’affluenza fu del 43%, di cui il 90% si espresse a favore del divorzio da Madrid, secondo le autorità locali. Rajoy non riconobbe il voto e il re Filippo VI condannò il tentativo, sostenendo le autorità nazionali per “garantire l’ordine costituzionale”.
Al primo anniversario del referendum non autorizzato sull’indipendenza della Catalogna, consultazione che ha fatto piombare la Spagna nella peggior crisi politica da decenni, si è arrivati in un crescendo di tensioni. Anche perché la spinta separatista nella regione non nasceva quel giorno, ma cresceva da anni. Nel marzo 2006 il Parlamento spagnolo approvò un nuovo statuto che rafforzava l’autonomia della Catalogna, aumentando i suoi poteri fiscali e giuridici, descrivendo la regione come una “nazione”. Ma nel 2010, dopo un appello del Partito popolare (Pp), la Corte costituzionale stabilì che la parola “nazione” “non aveva valore legale”. Il tribunale respinse anche il riferimento al catalano come “lingua preferita”. La decisione scatenò la protesta di centinaia di migliaia di catalani, che scesero nelle strade a dimostrare la propria contrarietà. Nel settembre 2012, nel giorno ‘nazionale’ catalano, più di un milione di persone manifestò a Barcellona per chiedere che la regione diventasse un nuovo Stato, mentre tutta la Spagna viveva un periodo di dura crisi economica. Giorni dopo, l’allora premier Mariano Rajoy il cui Pp era al potere rifiutò di negoziare maggior autonomia di bilancio con il presidente catalano, Artur Mas. Nel novembre 2014 la Catalogna sfidò Madrid e portò avanti un referendum simbolico e non vincolante sull’indipendenza. L’affluenza fu del 37%, di cui l’80% si espresse a favore della secessione. Nel settembre 2015 i partiti pro-indipendenza ottennero la maggioranza assoluta nell’Assemblea regionale e a novembre i deputati separatisti votarono in blocco per avviare il processo di separazione, ma la risoluzione fu bocciata dalla Corte costituzionale di Madrid. Nel gennaio 2016 il separatista Carles Puigdemont diventò presidente della regione e annunciò un referendum per l’autodeterminazione il 1 ottobre. La Corte costituzionale vietò il voto e man mano che la data si avvicinava la polizia arrestò funzionari e sequestrò materiale per il voto. Intanto, i catalani manifestavano. Nel giorno del referendum le forze di sicurezza intervennero sequestrando le urne delle schede in almeno 100 seggi: le immagini delle violenze che avvennero fecero il giorno del mondo. L’affluenza fu del 43%, di cui il 90% si espresse a favore del divorzio da Madrid, secondo le autorità locali. Rajoy non riconobbe il voto e il re Filippo VI condannò il tentativo, sostenendo le autorità nazionali per “garantire l’ordine costituzionale”.
I leader catalani, tuttavia, il 10 ottobre dichiararono l’indipendenza dalla Spagna. Madrid sospese l’autonomia regionale catalana, destituendo Puigdemont da presidente, dissolvendo il Parlamento e indicendo elezioni regionali per la fine dell’anno. Il 21 dicembre, con tre candidati separatisti in carcere e altri cinque in autoesilio, tra cui Puigdemont in Belgio, i partiti indipendentisti vinsero di nuovo ottenendo la maggioranza assoluta.Non potendo Puigdemont giurare dall’estero, il nuovo presidente catalano diventò Quim Torra, aprendo così al ripristino dei poteri autonomi. Intanto, il 1 giugno 2018 Rajoy è stato destituito con un voto di sfiducia in Parlamento e sostituito dal socialista Pedro Sanchez, che sulla questione catalana ha usato toni più morbidi e quindi ridotto la tensione. L’11 settembre circa un milione di persone ha poi marciato a Barcellona a sostegno dell’indipendenza, nel ‘giorno nazionale’ catalano, mostrando che il campo separatista è ancora capace di mobilitarsi.
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