La guerra in Siria può essere considerata una guerra per l’acqua? Evidentemente no. Ma è anche vero che l’acqua, bene primario per l’essere umano, è essenziale per capire alcune dinamiche della guerra, soprattutto nei conflitti dove essa scarseggia. E la Siria non fa eccezione, come tutto il Medio Oriente.
La conquista della diga di Hawi Awad
Le operazioni militari per il controllo dell’acqua sono all’ordine del giorno. L’ultima è di questa settimana: le forze dell’esercito siriano hanno ripreso il controllo della diga strategica di Hawi Awad. L’operazione, guidata dalla prima e terza divisione dell’esercito siriano, ha tolto allo Stato islamico l’ultima diga nelle sue mani.
E quindi, l’unica fonte d’acqua per il Califfato arroccato nel deserto siriano vicino Sweida è stata definitivamente ripresa dal governo. Per l’Isis una sconfitta di fondamentale importanza. L’ennesima in un anno che ha visto di fatto scomparire Daesh come forma para-statale tra Iraq e Siria.
Una battaglia che ricorda tante altre operazioni condotte dall’esercito siriano contro Isis e ribelli proprio al fine di riprendere il controllo delle principali infrastrutture idriche del Paese. Una strategia che accomuna anche l’Iraq, dove l’esercito iracheno e le forze della coalizione internazionale hanno combattuto anche in funzione del controllo de flusso dell’Eufrate e del Tigri (un esempio perfetto è la diga di Mosul, con l’impegno italiano per la sua protezione).
L’acqua al centro di una nuova guerra?
Adesso che la guerra si è circoscritta in alcune aree, per esempio nel governatorato di Idlib, la Siria sta tentando faticosamente di tornare alla normalità. Una normalità che però sembra essere destinata a non trovare una strada in discesa. E questo non solo per gli innumerevoli problemi politici e strategici fuoriusciti da questo conflitto, ma anche per un elemento fondamentale quale appunto è l’acqua.
Sette anni di guerra non hanno solo devastato le infrastrutture idriche del Paese, ma hanno anche spostato l’attenzione del governo di Damasco su problemi molto più impellenti. La guerra contro il terrorismo e contro i ribelli sostenuti dalle forze occidentali ha di fatto soppiantato tutte le altre problematiche del Paese. Temi che però erano e sono importantissimi. Anche perché la rinascita della Siria non può partire senza avere il bene essenziale alla vita: l’acqua.
In un recente articolo pubblicato dal quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, Nabil al-Samman, un esperto siriano di acque internazionali, ha delineato un quadro a tinte decisamente fosche sulle relazioni fra Iraq, Siria e Turchia sul fronte dell’approvvigionamento idrico. “Quando i suoni delle pistole e i tamburi di guerra svaniscono in Siria e in Iraq, nuove tensioni possono sorgere a causa dell’acqua, specialmente nel loro conflitto con la Turchia, da cui fluiscono i fiumi dell’Eufrate e del Tigri“, si legge nell’articolo.
Oggi, con una Siria devastata da sette anni di guerra senza quartiere e con un Iraq a sua volta in guerra ininterrotta da 15 anni, i governi di Baghdad e Damasco si trovano a confrontarsi da una posizione di netto svantaggio con la Turchia. E lo hanno dimostrato non solo gli interventi militari di Ankara nella parte settentrionale dei due Paesi, ma anche altri gesti, proprio sulle risorse idriche, che dimostrano la prepotenza turca rispetto ai vicini iracheni e siriani.
Il Southeastern Anatolia Project
In questi anni, mentre la guerra infuriava a Sud, la Turchia ha proseguito la realizzazione del Southeastern Anatolia Project. Questo programma del governo turco rappresenta una delle chiavi per comprendere le strategie idriche dell’intera regione mediorientale.
L’iniziativa intende costruire in territorio turco 22 dighe e 19 centrali elettriche che, una volta entrate a pieno regime, saranno in grado di contenere il flusso di acqua negli Stati a valle (quindi Iraq e Siria) di quasi la metà. Una diminuzione di acqua che porterà a inevitabili conflitti con Baghdad e Damasco che già oggi hanno assistito a una forte riduzione della quantità di “oro blu” proveniente dalla Turchia.
Purtroppo, l’approccio turco sull’acqua ricalca quello già visto in altri ambiti: totale volontà egemonica. Come ha ricordato Nabil al-Samman, all’apertura della diga di Atatürk nel 1992, il primo ministro turco Suleyman Demirel proclamava: “L’acqua che scorre in Turchia dall’Eufrate, dal Tigri e dai suoi affluenti è turca. Non stiamo dicendo alla Siria e all’Iraq che condividiamo le loro risorse petrolifere. E loro non hanno il diritto di dire che condividono le nostre risorse idriche“. L’idea turca, quindi, già dai primi anni Novanta è chiarissima: gli Stati a valle non hanno diritto all’acqua, ma è Ankara a concederla.
Questo evidentemente comporta una conseguenza: che la Turchia detiene le chiavi per il futuro della regione. L’acqua di Eufrate e Tigri rappresenta uno snodo fondamentale per lo sviluppo di Iraq e Siria. Se vogliono rinascere, devono farlo ripartendo dalle basi, e cioè dall’agricoltura e dall’industria nazionale. Ma serve l’acqua: ed è Erdogan a detenerla. Il Sultano, oggi, ha in mano un interruttore con cui spegnere e accendere l’intera Mesopotamia.
Siria e Israele, c’è anche l’acqua in questa guerra
Per la Siria, il problema è ancora più importante se si pensa che l’altro grande bacino d’acqua, quello del fiume Giordano, è conteso con Israele. La tensione fra i due Paesi è evidente. Ma se l’Iran è stata la cornice in cui si è scatenato il conflitto, non va dimenticato che anche l’acqua rappresenta un fattore essenziale.
Come spiegammo su questa testata, uno dei grandi fattori di scontro fra Israele e Siria, e in cui è coinvolta anche la Giordania, è il fiume Yarmuk. Già l’anno scorso, i media giordani segnalavano come le operazioni militari di Israele coincidessero con i punti di controllo del fiume che è uno degli affluenti periodici del Giordano. Israele si era impegnato in alcuni scontri con la fazioneYeish Jalid ibn Al-Walid che aveva la sua roccaforte proprio nel bacino dello Yarmuk. Stesso bacino in cui si è concentrata pochi mesi fa per bombardare l’ultimo bastione jihadista del Sud della Siria.
E anche nel Golan, la situazione non è diversa. Le Alture del Golan, annesse de facto da Israele, sono ricche di acqua. Il Monte Hermon è una vera e propria miniera di “oro blu” per Israele, tanto che, secondo alcune stime, le acque del Golan forniscono a Israele un terzo del fabbisogno idrico del Paese. E non è un caso che Israele, dopo aver occupato la regione, abbia fatto di tutto per evitare qualsiasi tipo di riconsegna a Damasco. L’acqua, per un Paese ad agricoltura intensiva come Israele, è un bene strategico. E la Siria, privata militarmente di quelle risorse, oggi è assetata.
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