Di Sabrina Cottone
«Mandiamo un saluto al presidente della Repubblica. Napolitano, Napolitano, nomen omen, non sapevo fosse un terùn».
Praticamente in contemporanea, l'eloquente gesto della corna. A pronunciare la frase incriminata diretta all'allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano, uno scatenato Umberto Bossi. Era il 29 dicembre 2011 ad Albino, in provincia di Bergamo, e il Senatùr faceva il mattatore alla festa provinciale della Lega, di cui era segretario. Per i pochi che avessero bisogno della traduzione, terùn significa terrone. Che cosa sia terrone, è spiegato così dal dizionario Treccani: «Appellativo dato, con intonazione spregiativa (talvolta anche scherzosa), dagli abitanti dell'Italia settentrionale a quelli dell'Italia meridionale».
Hanno decisamente optato per l'accezione spregiativa i giudici che l'hanno condannato per vilipendio al presidente della Repubblica, in primo grado a 18 mesi di reclusione, poi diventati un anno e 15 giorni in appello, ratificati dalla sentenza della Cassazione che il 12 settembre scorso ha confermato la colpevolezza di Bossi. Ieri la procura generale di Brescia ha concretizzato ciò che aveva stabilito la Suprema Corte e emesso un ordine di carcerazione per il settantasettenne Umberto Bossi. Contestualmente, è stato emesso anche un decreto di sospensione del medesimo ordine di esecuzione della pena. Insomma, Bossi è stato condannato al carcere ma la pena è stata sospesa. Dal giorno del terùn, sarebbe rimasto segretario per poco più di tre mesi, fino all'aprile del 2012, quando scoppiò lo scandalo dell'uso a fini privati dei fondi della Lega.
Veniamo al vilipendio. L'articolo 278 del Codice penale, dal titolo «Offese all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica» recita: «Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». Dare del terrone a Giorgio Napolitano, nato a Napoli, nel momento in cui lo storico esponente del Pci, ex presidente della Camera e ministro dell'Interno era presidente della Repubblica, è stato ritenuto vilipendio del capo dello Stato. La denuncia, c'è da aggiungere, non è partita dall'attuale presidente emerito, ma da un gruppo di cittadini che si erano sentiti offese dalle parole (e dal gesto) di Bossi.
Il contesto politico era caldo, tanto che durante la festa Bossi aveva rivolto epiteti offensivi anche all'allora presidente del Consiglio, Mario Monti. Ma fedele alla linea tra l'autonomia e la secessione della Lega Nord, Bossi aveva scatenato le proprie ire su Napolitano, a dire del leader lumbard colpevole di eccesso di amore per la bandiera italiana. «Abbiamo subito anche il presidente della Repubblica che è venuto a riempirci di tricolori, sapendo che non piacciono alla gente al Nord» le parole di Bossi. Era stato qualche militante della festa della Lega più scalmanato degli altri, urlando sotto il palco, a ricordare a Bossi che Napolitano aveva origini napoletane. Un'esca alla quale Bossi ha abboccato. Da qui il saluto non proprio deferente al capo dello Stato: «Non sapevo fosse un terùn».
La condanna al carcere (sospesa) per vilipendio si aggiunge alla sua posizione di imputat per i rimborsi elettorali alla Lega tra il 2008 e il 2010. Bossi, allora segretario della Lega, è stato condannato in primo grado e adesso è in attesa della sentenza d'appello.
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