Di Frank Furedi
In questi giorni, la politica identitaria sembra essere dappertutto. Dal punto di vista di questi novelli identitari, la cosa più importante di una persona è se essa appartiene al giusto gender, al giusto colore o alla giusta etnia.
Perciò, quando un giornalista del Guardian guarda la squadra di calcio inglese, non vede undici esseri umani. Al contrario, valuta la squadra in base alle sue caratteristiche politiche, razziali e culturali. “Se questa squadra rappresenta qualcuno, allora rappresenta il 48% dei Remainers” [gli oppositori della Brexit – N.d.T.], ha affermato Steve Bloomfield sul medesimo giornale. Come mai? Perchè sono giovani, la squadra ha “undici giocatori di colore” e “la maggior parte di essi vive in grandi città.” Il giornalista considera veramente questi giocatori uno spot pubblicitario a favore della permanenza nell’UE. Sono benedetti da ciò che alcuni dei Remainers considerano una buona identità, e, senza dubbio, condividono il disprezzo di Bloomfield per quegli odiosi xenofobi che avevano votato per la Brexit.
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La maggior parte dei veri appassionati di calcio valuta i giocatori sulla base della loro bravura e sul contributo che essi danno alla squadra. Non sono particolarmente interessati all’aspetto dei giocatori e, con l’eccezione di una minoranza di razzisti, non sono ossessionati dal colore della pelle dei giocatori. Però, non è questo il modo in cui i giornalisti del multiculturalismo concepiscono il football. L’identità culturale prevale su tutto il resto. Come riportava un titolo della rivista Mother Jones: “La nazionale russa è troppo russa, questa è una delle ragioni per cui uscirà a bomba dalla Coppa del Mondo.”
L’autore di questo articolo, Clint Hendler, aveva detto la settimana scorsa, prima della sconfitta della Russia, che “come la Russia scenderà in campo… i tifosi vedranno una nazionale che non assomiglia affatto alle favorite del torneo: Brasile, Francia, Germania, Spagna o Belgio.” Come mai? Perchè la squadra russa è formata interamente da ‘giocatori bianchi’. L’articolista aveva predetto che la Russia sarebbe stata estromessa dalla competizione e questo perché le mancavano le giuste credenziali multiculturali. Sarebbe uscita al primo turno, aveva detto, e ciò avrebbe rappresentato un “imbarazzante rimprovero all’approccio insulare di questa nazione nei confronti di quello che, da lungo tempo, è lo sport globalista per eccellenza.”
Hendler e i suoi amici “analisti”, chiaramente, di calcio ne sanno molto poco: la Russia non è stata estromessa al primo turno e, nonostante il presunto handicap di avere in campo solo giocatori bianchi, è riuscita comunque a battere la Spagna, una delle nazioni calcisticamente più forti. In ogni caso, i detrattori dei giocatori bianchi non sono realmente interessati alla qualità del loro calcio. La loro preoccupazione principale è quella di sfidare l’impertinente rifiuto del multiculturalismo da parte della Russia.
Alcuni commentatori hanno citato la squadra multietnica svizzera come contro-esempio positivo alla apparentemente triste e totalmente bianca Russia. In un articolo intitolato: “La nazionale russa alla Coppa del Mondo resiste alla multietnicità presente negli Svizzeri e in altre squadre,” Pete Baumgartner, di radio Free Europe, aveva contestato alla Russia il suo rifiuto ad abbracciare il multiculturalismo. Francesi, Tedeschi, Belgi e Inglesi venivano poi parificati agli Svizzeri come fulgidi esempi di multiculturalismo.
Si dà il caso che i fautori del multiculturalismo e della diversità siano poi essi stessi molto selettivi sulle squadre da criticare per la loro omogeneità. Non hanno sollevato nessuna obiezione sulla squadra nigeriana o su quella senegalese, entrambe con giocatori esclusivamente di colore. Non hanno neanche condannato la squadra giapponese, colpevole del reato culturale di mettere in campo solo giocatori giapponesi. Anche l’Iran è stato scusato. E’ abbastanza chiaro che la loro preoccupazione principale riguarda il fatto di essere bianchi. Il bersaglio di questi guerrieri del multiculturalismo sono le squadre che appaiono troppo bianche.
L’aspetto più sconcertante di questo informale disprezzo verso la squadra russa è che si considera l’essere bianchi alla stregua di una forma di vita inferiore. Nell’odierna gerarchia delle identità, “bianchezza” è l’equivalente di “pessima identità.” Essere bianchi significa possedere l’identità meno attraente. La campagna contro l’omogeneità culturale, in realtà, serve a trasformare il fatto di essere bianchi in identità negativa, cosa che dovrebbe comportare sentimenti di inferiorità culturale. Questo è il motivo per cui, oggigiorno, sia nella cultura popolare che in quella elitaria, la parola “bianco” è spesso accompagnata da una smorfia. E se uno rispondesse dicendo: “Va bene, sono bianco, e allora?” è probabile che finisca con l’essere accusato di essere un suprematista bianco.
L’ossessiva denigrazione della “bianchitudine” è diventata così puerile che, senza volerlo, ha dato origine ad una narrativa razzista. E, comunque, questi identitari anti-bianchi credono veramente di essere antirazzisti. In verità, etnicizzando il mondo del calcio, dopo averlo già fatto in moltissimi altri settori della vita quotidiana, mostrano solo quanto essi siano legati ad un nuovo genere di ideologia razziale.
Fonte e articolo completo: http://www.spiked-online.com/newsite/article/now-they-even-want-to-racialise-the-world-cup/21567#.W0Nol6SFPcd
Traduzione di Markus per comedonchisciotte.org
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