In tempi di Rutenio-106 che viaggia per l’aria che respiriamo senza che nessuno ci dica da dove arriva e cosa potrebbe realmente causare, la diffidenza è obbligo. Noi cerchiamo almeno di aiutare la memoria.
I disastri ambientali più gravi di cui abbiamo conoscenza. A scoprire che l’incidente nucleare di Chernobyl, non è stato forse il più grave disastro ambientale di diretta responsabilità umana nella storia. A Bhopal, in India, nel 1984, morirono in un colpo quindicimila esseri umani.
Come Hiroschima o Nagasaki.
I disastri ambientali più gravi di cui abbiamo conoscenza. A scoprire che l’incidente nucleare di Chernobyl, non è stato forse il più grave disastro ambientale di diretta responsabilità umana nella storia. A Bhopal, in India, nel 1984, morirono in un colpo quindicimila esseri umani.
Come Hiroschima o Nagasaki.
Attenzioni su dispersioni nucleari misteriose, imposte dall’attualità.
Ci dicono che quelle 1000 quantità in più di Rutenio-106, figlio di lavorazioni nucleari, non sarebbe pericoloso per l’uomo. Noi facciamo finta di crederci, ma torniamo a prestare più attenzione al problema sicurezza e ambiente.
Il disastro di Černobyl’ è stato il più grave incidente in una centrale nucleare. Uno dei due incidenti classificati come catastrofici con il livello 7, indice di gravità come per i terremoti, il massimo, insieme all’incidente nella centrale di Fukushima in Giappone.
Ci dicono che quelle 1000 quantità in più di Rutenio-106, figlio di lavorazioni nucleari, non sarebbe pericoloso per l’uomo. Noi facciamo finta di crederci, ma torniamo a prestare più attenzione al problema sicurezza e ambiente.
Il disastro di Černobyl’ è stato il più grave incidente in una centrale nucleare. Uno dei due incidenti classificati come catastrofici con il livello 7, indice di gravità come per i terremoti, il massimo, insieme all’incidente nella centrale di Fukushima in Giappone.
26 aprile 1986, centrale nucleare Vladimir Illic Lenin, Ucraina settentrionale, Unione sovietica
Nel corso di un test di sicurezza, gravi errori provocano esplosione con lo scoperchiamento del reattore. Una nuvola di materiale radioattivo esce dal reattore e ricadde su vaste aree intorno alla centrale. Nubi radioattive raggiunsero anche l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia con livelli di contaminazione via via minori, toccando anche l’Italia, la Francia, la Germania, la Svizzera, l’Austria e i Balcani, fino a porzioni della costa orientale del Nord America.
Un rapporto del Chernobyl Forum redatto da agenzie dell’ONU, ci dice di 65 morti accertati e più di 4.000 casi di tumore della tiroide fra quelli che avevano fra 0 e 18 anni al tempo del disastro. Dati ufficiali contestati da associazioni antinucleariste internazionali, fra le quali Greenpeace, che presenta una stima di fino a 6.000.000 di decessi su scala mondiale nel corso di 70 anni. Cifra indimostrabile, forse esagerata, ma certo più credibile di quei 65 morti ufficiali targati Onu.
I peggiori disastri ambientali nella storia dell’uomo
Sette i giorni con i quali, secondo le Scritture Dio avrebbe creato la terra. E sette i principali disastri ambientali che hanno rischiato o ancora rischiano di distruggerla, o danneggiarla gravemente, presi in considerazione noto sito americano Treehugger. ‘Fuori gara’, la catastrofe assoluta, top classifica della stupidità umana, che la distruttrice probabile della terra, che è la guerra.
1) Primo posto, un disastro chimico datato 3 dicembre 1984: Bhopal. Di cui ci racconterà tra qualche riga Giovanni Punzo.
2) Nel gradino più basso di questo nefasto podio, data per prima e fuori classifica la guerra, troviamo lo scoppio del reattore nucleare di Cernobyl.
3) Triste orgoglio nazionale, Seveso, in Brianza. 10 luglio 1976, una nube di diossina viene rilasciata da una nota fabbrica di pesticidi. 37.000 persone esposte. Probabilmente per la diossina di Seveso si muore ancora.
4) Al quarto posto l’incidente della petrolifera Exxon Valdez. 24 marzo 1989, l’enorme nave, per una manovra sbagliata sbatte contro gli scogli e squarcia lo scafo versando 40,9 milioni di litri di petrolio greggio sulla costa asiatica prossima all’Alaska.
5) Il Love Canal. Una centrale idroelettrica vicino alle cascate del Niagara e riadattata discarica di rifiuti. 21.000 tonnellate di prodotti e rifiuti chimici, compresi clorurati e diossine. Nel rapporto federale del novembre 1979 il governo americano indicò che le probabilità di contrarre il cancro da parte dei residenti era di 1/10.
6) La Great Pacific Garbage Patch. Un vortice marino capace di attirare rifiuti e spazzatura. Questo singolare fenomeno galleggia e sta galleggiando nei mari del Pacifico al sud di Giappone e Hawai. La maggior parte dei rifiuti è di plastica
7) Mississippi Dead Zone. Il delta del Mississippi il più sporco del mondo, peggio di quello del Gange e del Mekong. Zona morta ai piedi del fiume più grande d’America.
Ovviamente si tratta di una ‘classifica’ opinabile, una della letture sui disastri ambientali sul pianeta, tra le molte possibili. Adesso passiamo alle certezze, tristi certezza del più grave indicente ambientale per colpa dell’uomo nella storia del mondo.
Bhopal, India
Giovanni Punzo
Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, a Bhopal, città nel cuore dell’India, una nube di gas fuoriuscita dagli impianti della Union Carbide Corporation – multinazionale chimica americana, oggi di proprietà della Dow Chemical – provocò la morte di oltre duemila e duecento persone e l’intossicazione di altre decine di migliaia. Questo secondo quanto sostennero le fonti governative ufficiali, perché – secondo altri – le vittime furono invece molte e molte di più: un’associazione medica indiana in una dettagliata relazione dei fatti ha praticamente raddoppiato le cifre delle vittime della nube e degli intossicati. Ancora più pesante ed apocalittico fu il rapporto redatto da Amnesty International che parlò di sottostime nelle diverse relazioni arrivando a cifre complessive di centinaia di migliaia di vittime, comprendendo sia i morti che gli intossicati.
Era semplicemente accaduto che, durante lavori di manutenzione degli impianti, una notevole quantità di acqua accidentalmente fosse entrata a contatto con residui di lavorazione provocando una reazione chimica all’interno della cisterna numero 610 e quindi la fuoriuscita della nube composta da vapore acqueo e sostanza tossica. Solo in seguito si venne a sapere che la compagnia proprietaria aveva licenziato da un paio di anni per motivi economici il personale specializzato in grado di compiere queste delicate operazioni e che per di più le installazioni erano antiquate, tanto che né la valvola di sicurezza né la sirena di allarme funzionarono correttamente. Condizioni atmosferiche particolari come il vento e la temperatura notturna avevano favorito poi la dispersione colpendo in particolare una zona della città abitata dalla popolazione più povera, priva cioè anche di abitazioni con finestre e infissi che – per quanto in minima parte – avrebbero forse potuto attenuare in qualche modo gli effetti della nube.
Il comportamento assunto dalla multinazionale nelle prime ore successive alla fuoriuscita della nube fu peggio che reticente: poiché uno dei primi sintomi tra i colpiti dalle sostanze tossiche era una acuta irritazione degli occhi, la compagnia dichiarò che in quella fabbrica era lavorato un particolare prodotto chimico ‘simile’ ai gas lacrimogeni e che la situazione era comunque sotto controllo. Solo a seguito di alcune autopsie condotte da un medico tedesco e uno indiano, si rilevò che il sangue delle vittime aveva una colorazione tale da dubitare della versione ufficiale. In realtà nella fabbrica – tra l’altro collocata praticamente all’interno della città – era prodotto un fitofarmaco, un potente pesticida (Sevin) utilizzato in agricoltura per combattere gli insetti. Il principio attivo contenuto, ritenuto tossico per gli esseri umani, è oggi al bando in numerosi paesi non solo europei come Austria, Germania, Svezia, Danimarca e Regno Unito, ma anche extraeuropei come Iran e Angola.
Nel 2014, in occasione del trentesimo anniversario, la situazione del luogo si presentava ancora spaventosa, aggravata dal fatto che non era stata condotta una bonifica del terreno contaminato. L’unica misura messa in atto dalla Union Carbide all’epoca del disastro fu di far sprofondare in un grande stagno parti dei macchinari compromessi e ancora si trovavano li appena visibili sotto il pelo dell’acqua. Inoltre, nei terreni adiacenti gli impianti dismessi, è stata rilevata la presenza di scarti di lavorazione mai rimossi, anche visibili ad un esame superficiale. All’interno, arrugginito, ma ancora riconoscibile in mezzo alla vegetazione cresciuta nel frattempo, si trovava ancora la cisterna 610 dalla quale erano uscite ben quaranta tonnellate della sostanza mortale spandendosi sulla città.
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