Ai magistrati giunsero notizie e segnalazioni in base alle quali i sospetti dovevano essere indirizzati oltre confine. L'ipotesi scaturita da quelle indicazioni era quella di un complotto internazionale che coinvolgeva terroristi stranieri e neofascisti italiani latitanti all'estero con collegamenti in Italia.
Tutto questo risulterà essere un montaggio costruito a tavolino, utilizzando vecchie informazioni e notizie completamente inventate. Le operazioni di depistaggio furono progettate ed eseguite da un settore deviato del SISMI, all'epoca diretto dal generale Giuseppe Santovito (iscritto alla P2 e morto nel 1984).
Il 13 gennaio 1981, in uno scompartimento di seconda classe del treno Espresso 514 Taranto-Milano, fu scoperta una valigia che conteneva otto lattine piene di esplosivo (lo stesso esplosivo che fece esplodere la stazione), un mitra MAB, un fucile automatico da caccia, due biglietti aerei Milano-Monaco e Milano-Parigi. Il ritrovamento era stato possibile in seguito a una segnalazione dei servizi segreti. L'operazione, chiamata «Terrore sui treni», si dimostrò un falso del gruppo deviato del SISMI, che voleva accreditare la tesi della pista estera, facendo riferimento a una fonte che doveva restare segreta.
La Corte d'assise di Roma accertò che «la fonte non esisteva e le informazioni erano false, costruite nell'ufficio di Musumeci e Belmonte, con la connivenza di Santovito». Nella motivazione i giudici scrissero che «la ricostruzione dei fatti, basata su prove documentali e testimoniali, e sulle dichiarazioni degli stessi imputati, fa emergere una macchinazione sconvolgente che ha obiettivamente depistato le indagini sulla strage di Bologna. Sgomenta che forze dell'apparato statale, sia pure deviate, abbiano potuto così agire, non solo in violazione della legge, ma con disprezzo della memoria di tante vittime innocenti, del dolore delle loro famiglie e con il tradimento delle aspettative di tutti i cittadini, a che giustizia si facesse.».
La valigia era stata messa sul treno da un sottufficiale dei carabinieri e conteneva oggetti personali di due estremisti di destra, un francese e un tedesco, chiamati Raphael Legrand e Martin Dimitris.
Un dossier fasullo – prodotto dal vicecapo del SISMI, il generale Pietro Musumeci – riportava gli intenti stragisti dei due terroristi internazionali in relazione con altri esponenti dell'eversione neofascista, tutti legati allo spontaneismo armato, senza legami politici, quindi autori e allo stesso tempo mandanti della strage.
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Il 29 luglio 1985 Pietro Musumeci è stato condannato a 9 anni di carcere per associazione a delinquere, Francesco Pazienza a 8 anni e 6 mesi per lo stesso reato (l'accusa di violazione del segreto di Stato fu coperta da amnistia), mentre Giuseppe Belmonte fu condannato a 7 anni e 8 mesi per associazione a delinquere, peculato e interesse privato in atti di ufficio: assolti con formula piena il colonnello Secondo D'Eliseo, il capitano Valentino Artinghelli e Adriana Avico (collaboratrice di Pazienza).
In appello, il 14 marzo 1986, le condanne scesero a 3 anni e 11 mesi per Musumeci, a 3 anni e 2 mesi per Pazienza, e a 3 anni per Belmonte. Per tutti gli imputati cadde l'accusa di associazione per delinquere. Per i giudici della Corte d'appello di Roma non esisteva il «Super-SISMI», ma una serie di attività censurabili e realizzate con fini di lucro, che non rientravano in alcuna organizzazione segreta parallela ai servizi segreti militari.
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