Di Ermes Antonucci
Loggia massonica segreta, di carattere eversivo, guidata da Gelli a partire dal 1970 in qualità di “Gran Maestro”. È finita al centro dei principali scandali della storia italiana degli ultimi trent’anni: dalla strage di Bologna allo scandalo del Banco Ambrosiano, passando per il tentato golpe Borghese, il sequestro Moro e Tangentopoli. La lista degli appartenenti alla loggia fu rinvenuta il 17 marzo 1981 durante una perquisizione della residenza di Gelli, Villa Wanda, e di una sua fabbrica a Castiglion Fibocchi (Arezzo), e fu resa pubblica il 21 maggio seguente dal presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, poi dimessosi in virtù dello scandalo.
I nomi
La lista includeva 962 nomi, tra cui l’intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, ministri (Gaetano Stammati e Paolo Foschi, entrambi Dc), parlamentari, imprenditori come Silvio Berlusconi, finanzieri come Michele Sindona e Roberto Calvi, magistrati, editori e giornalisti come Roberto Gervaso e Maurizio Costanzo. In tanti, tuttavia, nel corso degli anni hanno smentito la loro appartenenza alla loggia.
Il Piano di rinascita democratica
Il documento, ritrovato e sequestrato nel 1982, elenca le finalità politiche ed istituzionali dell’azione della P2. Tra gli obiettivi la trasformazione del sistema politico di allora, attraverso l’istituzione di una dinamica bipartitica, una riforma costituzionale per la modifica delle competenze delle due Camere, un forte controllo sui media e sull’informazione, e una riforma della magistratura.
Il golpe Borghese
Licio Gelli avrebbe avuto un coinvolgimento nel colpo di Stato tentato dall’ex comandante della X Mas Junio Valerio Borghese nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. Negli anni è emerso, infatti, come Gelli fosse stato uno dei primi associati al Fronte nazionale di Borghese, tanto che, come dichiarato dall’allora capitano dei servizi segreti Antonio Labruna, il “venerabile” avrebbe dovuto addirittura partecipare al golpe catturando il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, però, fu proprio Gelli ad impartire il contrordine ai complottisti per farli rientrare nei ranghi.
Il caso Moro
Licio Gelli fu più volte accusato di aver rivestito un ruolo attivo nel caso del sequestro del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, avvenuto tra marzo e maggio del 1978. I principali posti di responsabilità all’interno dei servizi segreti erano infatti occupati da uomini iscritti alla loggia P2, come il comandante della Guardia di finanza Raffele Giudice. Secondo alcuni, il Gran Maestro sarebbe intervenuto per ostacolare la liberazione del leader democristiano ed evitare che venisse a realizzarsi la politica di compromesso storico avviata per condurre il Pci di Enrico Berlinguer nell’area di governo.
Strage di Bologna
Il 2 agosto 1980 l’esplosione di un ordigno alla stazione ferroviaria di Bologna provocò 85 morti e 200 feriti. Assolto in via definitiva dall’accusa di associazione eversiva, nel 1994 Gelli fu condannato a 10 anni per calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage. A caratterizzare il processo fu anche la misteriosa rinuncia all’incarico da parte di uno dei legali di parte civile Roberto Montorzi, che abbandonò il collegio dopo due incontri con Gelli a Villa Wanda.
Banco ambrosiano
Nel 1994 Gelli fu condannato definitivamente a 12 anni per bancarotta fraudolenta nell’ambito dell’inchiesta relativa al fallimento del Banco Ambrosiano, una delle principali banche cattoliche private. Gelli entrò anche nell’inchiesta sulla misteriosa morte di Roberto Calvi, presidente dell’istituto bancario, ritrovato impiccato a Londra il 18 giugno 1982 sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi, ma il procedimento venne archiviato nel maggio del 2009.
Tangentopoli
Gelli finì anche al centro dell’inchiesta milanese di “Mani pulite“. Il suo coinvolgimento riguardò l’esistenza del famoso “conto protezione”, il conto bancario svizzero aperto all’ Ubs di Lugano da Silvano Larini per permettere a Roberto Calvi di versare tangenti dal Banco Ambrosiano al Psi. Condannato in primo grado e in appello, la Cassazione decise l’annullamento della condanna per Gelli per improcedibilità dell’azione penale, essendo stata la sua posizione definita nel processo per il crac del Banco Ambrosiano.
La fuga
Una vita in fuga, quella di Licio Gelli. Rivelata l’esistenza della P2 e dei suoi iscritti, il “venerabile” scappò in Svizzera dove fu arrestato nel 1982 e rinchiuso nel carcere di Champ Dollon. Da qui però, un anno dopo, riuscì misteriosamente a scappare, trovando rifugio in Sudamerica, dove restò a lungo tra Venezuela e Argentina prima di costituirsi nel 1987, di nuovo a Ginevra. Solo nel febbraio del 1988 Gelli venne estradato in Italia, dove restò in carcere solo pochi giorni, ottenendo ad aprile la libertà provvisoria per motivi di salute.
La dittatura argentina
Molto discussi furono gli ottimi rapporti che Gelli intraprese con il generale e presidente argentino Roberto Eduardo Viola e l’ammiraglio Emilio Massera durante il periodo della dittatura nel paese sudamericano (1976-1983). Furono circa 30.000 le persone uccise o scomparse (desaparecidos), e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate. Pochi giorni dopo il golpe, Gelli, sostenitore dei militari argentini, ricevette una lettera da parte di Massera, dove quest’ultimo espresse “la sua sincera allegria per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti”. A dimostrazione dei buoni rapporti, il Gran Maestro della P2 ottenne dalle autorità argentine anche un passaporto diplomatico.
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