Di Tyler Durden
In un discorso pronunciato martedì a Parigi, l’investitore miliardario George Soros ha avvertito che il mondo potrebbe essere sull’orlo di un’altra devastante crisi finanziaria. Sono infatti riemerse le crisi del debito in Europa, ed il rafforzamento del dollaro mette in difficoltà i mercati rivali di quello americano, sia quelli emergenti che quelli sviluppati.
L’Italia è in prima fila a trascinare le preoccupazioni sulla possibile dissoluzione dell’euro. Pressioni politiche, come la dissoluzione dell’alleanza Europa-Stati Uniti, finiranno per tradursi in danni economici. Il continente sta attualmente affrontando tre urgenti problemi: la crisi dei rifugiati, le politiche di austerità che hanno ostacolato lo sviluppo economico e la disintegrazione territoriale – non solo la Brexit, ma la minaccia che paesi come l’Italia possano fare la stesso…
“La Brexit è un processo immensamente dannoso per entrambe le parti”, ha esclamato il miliardario.
Guardando al breve termine, la decisione USA di abbandonare l’accordo con l’Iran sta mettendo a dura prova l’alleanza dell’Europa col suo partner occidentale più importante. Questo proprio mentre il rafforzamento del dollaro sta soffocando le economie del resto del mondo.
Fino a poco tempo fa, si sarebbe potuto sostenere che l’austerità funziona: l’economia europea sta lentamente migliorando, basta semplicemente perseverare. Ma, guardando avanti, l’Europa ora affronta il collasso dell’accordo nucleare iraniano e la distruzione dell’alleanza transatlantica, destinata ad avere un effetto negativo sulla sua economia e a causare altri scompigli.
La forza del dollaro sta già accelerando la fuga dalle valute dei mercati emergenti. Potremmo essere diretti verso un’altra grave crisi finanziaria. Lo stimolo economico di un piano Marshall per l’Africa ed altre parti del mondo in via di sviluppo dovrebbe prendere il via al momento giusto. Questo è ciò che mi ha portato a presentare una proposta pronta all’uso per il suo finanziamento.
L’avvertimento di Soros arriva quando i rendimenti delle obbligazioni italiane a 2 anni sono i più alti mai registrati:
Non è più una “figura retorica” affermare che l’UE è in “pericolo esistenziale”, ha detto Soros. È una realtà ovvia.
“L’UE è in una crisi esistenziale. Tutto quel che poteva andare storto è andato storto “, ha detto.
Per sfuggire alla crisi, “deve reinventarsi”.
“Gli Stati Uniti, dal canto proprio, hanno acuìto i problemi dell’UE: ritirandosi unilateralmente dall’accordo nucleare con l’Iran del 2015, Trump ha distrutto l’alleanza transatlantica, mettendo ancor più pressione ad un’Europa già assediata”.
L’unico modo per evitare un collasso totale sarebbe un piano Marshall per l’Africa da 30 miliardi di euro ($35,4 miliardi), che Soros ritiene possa contribuire a contenere il flusso di migranti verso l’Europa, uno dei maggiori problemi che l’Europa deve affrontare. L’Unione dovrebbe utilizzare la propria autorità di prestito “in gran parte inutilizzata” per finanziare il piano.
“Potremmo essere diretti verso un’altra grave crisi finanziaria”, ha dichiarato esplicitamente.
L’alternativa sarebbe un’ulteriore “disintegrazione territoriale” dell’UE, con quei paesi che hanno ampiamente sofferto a causa dell’unione monetaria a contemplare l’abbandono. Per evitare questo scenario, bisogna riconoscere ed affrontare i difetti del sistema euro. Forse il più clamoroso dei quali è che ha creato un radicato sistema a due livelli di debitori e creditori.
Personalmente ho considerato l’UE come l’incarnazione dell’idea della società aperta. Era un’associazione volontaria di stati eguali che si univano e sacrificavano parte della propria sovranità per il bene comune. L’idea d’Europa come società aperta continua ad ispirarmi.
Ma dalla crisi finanziaria del 2008, l’UE sembra aver perso la rotta. Ha adottato un programma di taglio alle spese che ha portato alla crisi dell’euro ed ha trasformato l’eurozona in una relazione tra creditori e debitori. I creditori hanno stabilito le condizioni che i debitori dovevano, ma non potevano, soddisfare. Si è dunque venuta a creare una relazione né volontaria né tra eguali – esattamente l’opposto del credo su cui si basava l’UE.
Come alcuni ricorderanno, il Soros Fund Management – il fondo di famiglia, perlopiù dedicato alla sua rete di ONG “Open Society” – ha chiuso la maggior parte delle sue posizioni sui mercati emergenti dopo che Trump ha sconfitto la Clinton. Certo, dove Soros vede un pericolo, altri vedono un’opportunità. Mark Mobius, ad esempio, il mese scorso “è tornato dalla pensione” per aprire un fondo che spera possa trarre vantaggio dalla carneficina dei mercati emergenti, poiché gli analisti continuano a considerare gli EM come l’area più vulnerabile ad un riprezzamento del dollaro.
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Ecco il discorso completo:
L’Unione Europea è impantanata in una crisi esistenziale. Negli ultimi dieci anni, tutto ciò che poteva andare storto è andato storto. Come ha fatto ad arrivare a questo punto un progetto politico che ha sostenuto la pace e la prosperità dell’Europa del dopoguerra?
Quando ero giovane, un piccolo gruppo di visionari guidato da Jean Monnet trasformò la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel mercato comune europeo prima e nell’UE poi. La mia generazione era entusiasta sostenitrice del processo.
Personalmente ho considerato l’UE come l’incarnazione dell’idea della società aperta. Un’associazione volontaria di stati eguali che si univano e sacrificavano parte della propria sovranità per il bene comune. L’idea dell’Europa come società aperta continua ad ispirarmi.
Ma dalla crisi finanziaria del 2008, l’UE sembra aver perso la rotta. Ha adottato un programma di taglio delle spese, che ha portato alla crisi dell’euro ed ha trasformato l’eurozona in una relazione tra creditori e debitori. I creditori hanno stabilito le condizioni che i debitori dovevano, ma non potevano, soddisfare. Si è dunque venuta a creare una relazione né volontaria né tra eguali – esattamente l’opposto del credo su cui si basava l’UE.
Per questo, molti giovani oggi considerano l’UE un nemico, che li ha privati dei posti di lavoro e di un futuro sicuro e promettente. I politici populisti hanno cavalcato questo risentimento ed hanno formato partiti e movimenti antieuropei.
Poi è arrivato l’afflusso di rifugiati nel 2015. All’inizio, la maggior parte della gente ha simpatizzato con la situazione dei rifugiati, in fuga dalla repressione politica o dalla guerra civile, pur non volendo che la propria vita quotidiana venisse sconvolta da una rottura dei servizi sociali. Ben presto si sono accorti che le autorità non erano in grado di far fronte alla crisi.
E così, in Germania, Alternative für Deutschland (AfD) ha rapidamente guadagnato forza, diventando così il maggior partito di opposizione del paese. L’Italia ha recentemente sofferto di un’esperienza simile e le ripercussioni politiche sono state ancor più disastrose: gli anti-europeisti Movimento Cinque Stelle e Lega sono quasi andati al governo. La situazione si sta rapidamente deteriorando, ed ora il paese dovrà affrontare nuove elezioni nel bel mezzo del caos politico.
In effetti, l’intera Europa è stata sconvolta dalla crisi dei rifugiati. Leader senza scrupoli l’hanno sfruttata anche in paesi che hanno accettato pochissimi rifugiati. In Ungheria, il primo ministro Viktor Orbán ha basato la sua campagna di rielezione sulla falsa accusa nei miei confronti di aver pianificato l’afflusso di profughi musulmani in Europa.
Orbán si presenta ora come il difensore della sua versione di un’Europa cristiana, che sfida i valori su cui si fondava l’Unione Europea. Sta cercando di assumere la guida dei partiti democratici cristiani che costituiscono la maggioranza del Parlamento europeo.
Gli Stati Uniti, dal canto propro, hanno acuìto i problemi dell’UE: ritirandosi unilateralmente dall’accordo nucleare con l’Iran del 2015, Trump ha distrutto l’alleanza transatlantica, mettendo ancor più pressione ad un’Europa già assediata.
Cosa fare?
L’UE deve affrontare tre problemi urgenti: la crisi dei rifugiati; le politiche di austerità che hanno ostacolato lo sviluppo economico; la disintegrazione territoriale, come esemplificato dalla Brexit. Portare sotto controllo la crisi dei rifugiati potrebbe essere il miglior punto di partenza.
Ho sempre sostenuto che l’assegnazione dei rifugiati in Europa dovrebbe avvenire interamente su base volontaria. Gli Stati membri non dovrebbero essere costretti ad accettare migranti che non vogliono, ed i migranti non dovrebbero essere costretti a stabilirsi in paesi dove non vogliono andare.
Questo principio fondamentale dovrebbe guidare la politica migratoria continentale. Bisogna anche urgentemente riformare la Convenzione di Dublino, che ha imposto un fardello ingiusto all’Italia e ad altri paesi mediterranei, con conseguenze politiche disastrose.
L’UE deve proteggere i propri confini esterni, ma tenerli aperti ai migranti legittimi. Gli Stati membri, a loro volta, non devono chiudere i confini interni. L’idea di una “fortezza” chiusa ai rifugiati politici ed ai migranti economici non solo vìola la legge europea e internazionale, ma è anche totalmente irrealistica.
L’Europa vuole estendere una mano all’Africa e ad altre parti del mondo in via di sviluppo, offrendo assistenza sostanziale ai regimi più democratici. Questo è l’approccio giusto: consentirebbe a questi governi di fornire istruzione ed occupazione ai propri cittadini, che quindi sarebbero meno propensi a compiere il viaggio, spesso pericoloso, verso l’Europa.
Rafforzando i regimi democratici nei paesi in via di sviluppo, un “Piano Marshall per l’Africa” guidato dall’UE contribuirebbe anche a ridurre il numero di rifugiati politici. I paesi europei potrebbero quindi accettare migranti da questi ed altri paesi, per soddisfare le loro esigenze economiche, attraverso un processo ordinato. In questo modo, la migrazione sarebbe volontaria sia da parte dei migranti che degli stati ospitanti.
La realtà attuale, tuttavia, non rispecchia questo ideale. Innanzitutto, e soprattutto, l’UE non ha ancora una politica migratoria unificata. Ogni Stato membro ha una propria politica, spesso in contrasto con gli interessi degli altri.
In secondo luogo, l’obiettivo principale della maggior parte dei paesi europei non è quello di promuovere lo sviluppo democratico in Africa e altrove, ma di arginare il flusso di migranti. Gran parte dei fondi disponibili vengono così deviati per corrompere i dittatori, affinché impediscano ai migranti di passare attraverso il proprio territorio o usino metodi repressivi per impedire ai loro cittadini di andarsene. A lungo termine, questo genererà ancor più rifugiati politici.
In terzo luogo, ci sono poche risorse finanziarie. Un significativo piano Marshall per l’Africa richiederebbe almeno 30 miliardi di euro ($35,4 miliardi) l’anno per un certo numero di anni. Gli Stati membri dell’UE potrebbero contribuire solo ad una piccola parte di questo importo. Da dove potrebbero venire dunque i soldi?
È importante riconoscere che la crisi dei rifugiati è un problema europeo che richiede una soluzione europea. L’UE ha un elevato rating creditizio e la sua capacità di indebitamento è in gran parte inutilizzata. Quando dovrebbe essere utilizzata questa capacità se non durante una crisi esistenziale? Storicamente, il debito nazionale è sempre cresciuto in tempi di guerra. Certo, l’aumento del debito nazionale è in contrasto con l’ortodossia prevalente che sostiene l’austerità; ma l’austerità è di per sé un fattore che contribuisce alla crisi in cui si trova l’Europa.
Fino a poco tempo fa, si sarebbe potuto sostenere che l’austerità funziona: l’economia europea sta lentamente migliorando, basta semplicemente perseverare. Ma, guardando avanti, l’Europa ora affronta il collasso dell’accordo nucleare iraniano e la distruzione dell’alleanza transatlantica, destinata ad avere un effetto negativo sulla sua economia e a causare altri scompigli.
La forza del dollaro sta già accelerando la fuga dalle valute dei mercati emergenti. Potremmo essere diretti verso un’altra grave crisi finanziaria. Lo stimolo economico di un piano Marshall per l’Africa ed altre parti del mondo in via di sviluppo dovrebbe prendere il via al momento giusto. Questo è ciò che mi ha portato a presentare una proposta pronta all’uso per il suo finanziamento.
Senza entrare nei dettagli, voglio sottolineare che la proposta contiene un meccanismo che consentirebbe all’UE di attingere ai mercati finanziari ad un tasso molto vantaggioso, senza incorrere in un obbligo diretto per sé o per i suoi Stati membri; offre anche notevoli vantaggi contabili. E, sebbene sia un’idea innovativa, è già stata utilizzata con successo in altri contesti, come le obbligazioni municipali a reddito generale negli USA ed i finanziamenti per combattere le malattie infettive.
Ma il mio punto principale è che l’Europa deve fare qualcosa di drastico per sopravvivere alla sua crisi esistenziale. In poche parole, l’UE deve reinventarsi.
Quest’iniziativa dev’essere però uno sforzo che parte dal basso. La trasformazione della CECA nell’UE è stata un’iniziativa gerarchica ed ha fatto miracoli. I tempi però sono cambiati. La gente comune si sente esclusa ed ignorata. C’è ora bisogno di uno sforzo collaborativo, che combini l’approccio dall’alto verso il basso delle istituzioni europee con le iniziative dal basso verso l’alto necessarie per coinvolgere l’elettorato.
Dei tre problemi urgenti, ne ho affrontati due. Rimane la disintegrazione territoriale, esemplificata dalla Brexit. È un processo immensamente dannoso, per ambo le parti. Ma una proposta lose-lose potrebbe essere convertita in una situazione win-win.
Il divorzio sarà un processo lungo, che probabilmente richiederà più di cinque anni: un’eternità in politica, specialmente in tempi rivoluzionari come questi. Alla fine spetterà al popolo britannico decidere cosa fare, ma sarebbe meglio se prendessero una decisione prima o poi. Questo è l’obiettivo di Best for Britain, un’iniziativa che appoggio personalmente. È riuscita ad ottenere un voto parlamentare su una misura che include l’opzione di non lasciare l’UE prima che la Brexit venga finalizzata.
La Gran Bretagna avrebbe fatto un grande servizio all’Europa annullando la Brexit e non creando un buco difficile da colmare nel bilancio europeo. I suoi cittadini devono però esprimere sostegno con un margine convincente per essere presi sul serio dall’Europa. Questo è l’obiettivo di Best for Britain.
Il motivo economico per rimanere un membro UE è forte, ma è diventato chiaro solo negli ultimi mesi e ci vorrà del tempo per essere assimilato. Nel mentre, l’Unione deve trasformarsi in un’organizzazione a cui paesi come la Gran Bretagna aspirino.
Tale Europa differirebbe dagli accordi attuali in due punti chiave. Innanzitutto, distinguerebbe chiaramente tra l’UE e la zona euro. In secondo luogo, riconoscerebbe che l’euro ha molti problemi irrisolti, che non devono però distruggere l’intero progetto.
L’eurozona è governata da trattati sorpassati, che affermano che tutti gli Stati membri dell’UE dovrebbero adottare l’euro se e quando entrassero a far parte dell’Unione. Ciò ha creato una situazione assurda in cui paesi come Svezia, Polonia e Repubblica Ceca, che hanno chiarito di non aver alcuna intenzione di aderire, sono ancora descritti e trattati come “inseriti”.
L’effetto non è puramente cosmetico. Il quadro esistente ha trasformato l’UE in un’organizzazione in cui la zona euro costituisce il nucleo interno, con gli altri membri relegati ad una posizione ancillare. Qui c’è un assunto fallace: si pensava che gli Stati membri, pur muovendosi a velocità diverse, si dirigessero tutti verso la stessa destinazione. In realtà, diversi membri hanno esplicitamente respinto l’obiettivo dell’UE di “un’unione sempre più stretta”.
Questo obiettivo dovrebbe essere abbandonato. Invece di un’Europa a più velocità, bisognerebbe puntare ad un'”Europa a più corsie”, che consenta agli Stati membri una più ampia varietà di scelte. Ciò avrebbe un effetto benefico di vasta portata. Attualmente non c’è cooperazione: gli Stati vogliono riaffermare la propria sovranità piuttosto che cederne di più. Se però la cooperazione producesse risultati positivi, il sentimento potrebbe migliorare, ed alcuni obiettivi, come la difesa, al momento perseguiti da coalizioni di volontari, potrebbero attirare una partecipazione universale.
La dura realtà potrebbe obbligare a mettere da parte gli interessi nazionali nell’interesse di preservare l’UE. Questo è quanto ha esortato il presidente francese Emmanuel Macron nel discorso pronunciato ad Aquisgrana alla ricezione del Premio Carlo Magno. La sua proposta è stata sostenuta con cautela dal cancelliere tedesco Angela Merkel, dolorosamente consapevole dell’opposizione che affronta in patria. Se Macron e la Merkel ci riuscissero, nonostante tutti gli ostacoli, avrebbero seguìto le orme di Monnet e della sua piccola banda di visionari. Questo ristretto gruppo deve però essere sostituito da una grande ondata di iniziative dal basso verso l’alto a favore dell’Europa. Io e la mia rete di Open Society Foundations faremo tutto il possibile per aiutare queste iniziative.
Macron è consapevole della necessità di ampliare il sostegno popolare e la partecipazione alla riforma europea, come chiarisce la sua proposta per le “consultazioni dei cittadini”. Il Festival economico di Trento, un grande raduno organizzato da gruppi della società civile in un momento in cui l’Italia non ha un governo, si riunirà dal 31 maggio al 3 giugno. Spero che abbia successo e dia il buon esempio di emulare simili iniziative della società civile.
Traduzione per www.comedonchiciotte.org a cura di HMG
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