Di Armando Lancellotti
Stefano Petrucciani, A lezione da Adorno. Filosofia Società Estetica, manifestolibri, Roma, 2017, pp. 176, € 22,00
Questo libro di Stefano Petrucciani(*), ordinario di filosofia politica presso la Sapienza di Roma, si presenta come una rilettura complessiva del lavoro di Theodor Wiesegrund Adorno, di cui considera tutte le grandi opere, toccando ciascuno dei nuclei fondamentali della riflessione del maestro francofortese, ma lo fa assumendo spesso come punto di osservazione privilegiato – seppur non esclusivo – i materiali dei corsi e gli scritti delle lezioni universitarie del filosofo.
Un excursus complessivo, organizzato per tematiche, che da un lato tiene opportunamente conto dei settanta o cinquanta anni che ci separano da opere quali la Dialettica dell’Illuminismo o la Dialettica negativa e la Teoria estetica – distanza temporale, profondi cambiamenti economico-sociali e culturali nel frattempo intervenuti che contribuiscono ad evidenziare alcune inadeguatezze o rigidità della adorniana teoria critica della società – ma dall’altro permette di cogliere distintamente l’importanza intellettuale cruciale della cifra essenziale del pensiero francofortese, da cui – aggiungiamo – proprio oggi, forse più che mai in precedenza, sarebbe opportuno ripartire: la vigile attenzione critica, il meticoloso scavo analitico, l’infaticabile lavoro di analisi interpretativa, che urge risvegliare nell’epoca e nella società della nuova unidimensionalità della globalizzazione, economica, politica ed ideologica.
Petrucciani legge le lezioni sul concetto di filosofia che Adorno tiene a inizio anni Cinquanta, al momento del suo ritorno in Germania dopo l’esilio americano e dopo la conclusione della collaborazione con Horkheimer per la stesura della Dialettica dell’Illuminismo, considerandole l’inizio di un percorso più personale: la specificità che distingue Adorno da altri francofortesi consiste in un permanente e prevalente approccio filosofico alla teoria critica della società praticata dalla Scuola, per cui essa è essenzialmente un’azione teoretica, per quanto collegata alla complessità dei saperi sociali.
A tale scopo – rileva l’autore – Adorno ritiene che si debba procedere al ripensamento e alla riformulazione del concetto di dialettica, cioè dello strumento finalizzato all’esecuzione dell’azione critica. Per questi motivi Horkheimer sembra imputare ad Adorno una sorta di vizio sistematico eccessivo – un vizio “metafisico”, per dir così – e sembra rivendicare per sé una maggiore propensione alla ricerca sociale grazie ad un più fitto confronto con le scienze sociali particolari.
Ma cosa intende Adorno con dialettica? Innanzi tutto, per il pensatore tedesco, la dialettica – come è noto – è da intendersi negativamente, essa è appunto una “dialettica negativa”. La dialettica adorniana rifiuta, scrive Petrucciani, il ricorso al Fondamento, da cui dedurre la serie delle verità o al Principio primo, a cui ricondurre la molteplice complessità delle cose. Insomma una dialettica non dogmaticamente (idealisticamente) intesa, ma vista come strumento critico, il cui modello viene da Adorno individuato in Socrate, che il pensatore francofortese collega al concetto di “negazione determinata” di Hegel.
Cosa significa, infatti, «negazione determinata»? Vuol dire che l’operazione critica, negativa della singola conoscenza cui la dialettica dà luogo non mette capo semplicemente a un risultato nullo, alla scepsi o alla mera negazione. Al contrario, la negazione di una determinata conoscenza, di una specifica posizione di pensiero, rende manifesto ciò che in essa non può venir mantenuto e dev’essere lasciato cadere, e proprio con ciò finisce per costituire una nuova, più avanzata posizione (p. 10)
La dialettica così intesa – che Adorno analizza dettagliatamente in quella Dialettica negativa che per Petrucciani è l’unica opera di Adorno completamente ed esclusivamente teoretica e che presenta numerose difficoltà interpretative – dovrebbe costituire quindi la soluzione della dicotomia tra un paralizzante “assolutismo” e uno sterile “relativismo” e si sposa con un concetto di verità concepita non come un qualcosa di dato una volta per tutte, ma come esito aporetico del processo critico, anzi intesa come coincidente col processo stesso.
In prima battuta, quindi, la dialettica negativa si pone come un invito all’umiltà: come la consapevolezza che il sapere non attinge mai pienamente l’oggetto, non lo possiede interamente; una consapevolezza semplicemente fallibilistica, potremmo dire, che è certamente incompatibile con le pretese di assolutezza dell’idealismo filosofico, ma che invece è perfettamente consonante con l’ethos problematico, dubbioso e fallibilista che pervade la scienza e la filosofia contemporanea (p. 16)
L’oggetto di conoscenza trascende sempre l’atto soggettivo di comprensione ad esso intenzionato. Il concetto è sempre concetto di qualcosa, quindi tende all’oggettivo, a quel mondo che pressa il pensiero, costringendolo a pensarlo e di cui i concetti stessi fanno comunque parte. Insomma, da Kant in poi, la conoscenza è sempre fondata da quelle forme ideali che definiscono ciò che è umanamente pensabile, ma la stessa struttura categoriale non è ipostatizzabile e pertanto è anche da considerarsi come il prodotto del mondo oggettivo che essa rende pensabile. Si produce una sorta di circolo tra a priori e a posteriori, tra soggetto e oggetto, tra idealismo e materialismo, di cui, per Adorno, la dialettica negativa si presenta come soluzione.
Per Adorno la reciprocità di soggetto e oggetto, sostiene Petrucciani, non è simmetrica, in quanto comporta il primato dell’oggetto, che, seppur posto come pensato dal soggetto, costituisce sempre un’alterità, irriducibile al soggetto, il quale invece è sin da subito anche oggetto. In altri termini, se il soggetto senza oggetto non è neppure pensabile (e neppure può non essere pensato se non come, al tempo stesso, oggetto), l’oggetto senza soggetto invece rimane concepibile. Insomma, fa notare Petrucciani, la posizione adorniana sembra ricalcare l’antidealistica difesa kantiana della cosa in sé, ovvero dell’indipendenza ontologica dell’oggetto dal soggetto, seppur insieme alla dipendenza gnoseologica del primo dal secondo. Si può concludere – sostiene l’autore – che Adorno con la propria teoria della dialettica negativa giunga a posizioni vicine a quelle dell’epistemologia post positivistica o dell’ermeneutica, caratterizzate dalla circolarità mente-realtà, uomo-mondo. Il soggetto non dispone mai di un punto di vista esterno al processo conoscitivo in cui le sue categorie costruiscono un mondo del quale esse medesime fanno parte e dai cui sono sorte.
Fonte e articolo completo: https://www.carmillaonline.com/2018/04/13/44736/
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