Di Lidia Baratta
L’università senza tasse, proposta dal presidente del Senato Piero Grasso nel corso dell’assemblea di Liberi e uguali, è già una realtà in molti Paesi europei. E l’Italia non è tra questi.
Anzi, con un aumento medio delle tasse universitarie del 60% negli ultimi dieci anni, si piazza al terzo posto tra quelli più cari del continente, dopo Olanda e Regno Unito. Con rette che superano i 2mila euro di media al Politecnico di Milano, che è l’ateneo più caro d’Italia.
Il paradiso per gli studenti universitari in Europa è la Germania, dove non è prevista alcuna tassa sia per gli studenti europei sia per quelli non europei. Si paga solo una piccola somma tra 100 e 200 euro al massimo per semestre per coprire i costi di trasporto e gli altri servizi destinati agli studenti. Lo stesso vale per la Norvegia: si richiede solo una piccola cifra (tra 30 e 60 euro) per semestre per coprire i costi della carta studenti, che garantisce assistenza sanitaria, trasporti gratuiti e diverse riduzioni per attività ed eventi culturali.
In altri Paesi come l’Austria, la Danimarca, la Finlandia e la Svezia, invece, gli studi universitari sono gratuiti solo per gli europei. A quelli che arrivano da fuori Europa è richiesto il pagamento di una tassa. In Austria la tassa annuale per gli extra Ue si aggira tra i 600 e i 1.500 euro. In Danimarca si va dai 6mila ai 16mila euro annui. La Finlandia ha introdotto da agosto 2017 un’imposta di 1.500 euro per i non europei, ma solo per i corsi di laurea in inglese. Quelli in svedese e finlandese restano gratuiti per tutti.
In Francia, invece, le tasse le pagano tutti ma sono molto basse. Per gli studenti Ue e non Ue si aggirano tra i 200 e i 650 euro annui, a seconda del livello e del programma di studio. Per Medicina si pagano più o meno 450 euro l’anno, per ingegneria circa 600 euro. In Spagna si sale, con le triennali che costano tra 680 a 1.400 euro l’anno in media. Ancora di più in Olanda, dove per gli europei si superano anche i 2mila euro e per i non europei si sfiora anche la soglia dei 12mila. Il Paese più caro, ma anche tra i più ambiti per gli studenti di tutto il mondo, resta però l’Inghilterra, dove si pagano quasi 13mila euro l’anno per una triennale.
E l’Italia? Secondo i calcoli Ocse, con 1.600 dollari americani di pressione fiscale universitaria, il nostro Paese è al terzo posto in Europa tra i più cari, dopo Regno Unito e Olanda. Le università italiane restano tra le poche nel continente a far pagare a tutti, europei e non. La rata dipende dall’ateneo che si sceglie e dalla situazione economica familiare dello studente, con un sistema progressivo. Si parte da tasse da meno di 200 euro, ma si possono anche superare i 1.200 euro l’anno e senza redditi particolarmente elevati. Ma negli ultimi anni si è assistito a un rincaro. Secondo i calcoli dell’Unione degli universitari, nelle sole università statali il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale è passato da circa 1 miliardo e 200 milioni a 1 miliardo e 600 milioni dal 2005 al 2015: 400 milioni in più. Nel 2005 la tassa media era a livello nazionale era di 775 euro, dieci anni dopo lo studente paga 1.250 euro circa.
Nel 2016, secondo i dati del ministero dell’Istruzione, i contributi versati dagli universitari sono stati più di un quarto di quanto versi lo Stato (sotto forma di Fondo di finanziamento ordinario) agli atenei. Per i soli corsi che si concludono col titolo di laurea, gli studenti hanno sborsato 1,762 miliardi di euro di tasse.
La proposta di Piero Grasso di abolire le tasse universitarie costerebbe, come lo stesso presidente del Senato ha ricordato, 1,6 miliardi di euro. Qualcosa nell’ultimo anno però è cambiata. Con la legge di bilancio 2017 è stata alzata la no tax area fino a 13mila euro di Isee. Ma alcune università l’hanno aumentata fino a 15mila euro. Per ottenere l’esenzione totale, bisogna soddisfare determinati requisiti di reddito e di merito. Il risultato è che circa un terzo degli studenti oggi rientra in quest’area.
Le borse di studio certo ci sono pure, ma non coprono tutti. Con il famoso fenomeno degli studenti idonei ma non beneficiari, cioè quelli che per reddito e meriti hanno diritto alla borsa ma non la ricevono per mancanze di risorse disponibili. Secondo i calcoli dell’Udu, sarebbero circa 22mila, per i quali servirebbero 150 milioni di euro aggiuntivi. Il Fondo integrativo statale per le borse di studio nell’ultima legge di bilancio è stato aumentato di appena 20 milioni, dieci in meno rispetto ai 30 stanziati nelle prime bozze della manovra.
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