Quei bambini chiusi in carcere per reati che non hanno mai commesso

nov 18, 2017 0 comments
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Di Marco Sarti
Dietro le sbarre senza aver commesso alcun reato. Troppo piccoli persino per conoscere il motivo della detenzione. È l’inaccettabile destino dei bambini rinchiusi insieme alle madri nelle carceri italiane. Una realtà incredibile e ancora poco conosciuta. Si spiega anche così il silenzio che, salvo rare eccezioni, ha accompagnato l’ultimo drammatico caso di cronaca. La vicenda di una bimba di tre anni, reclusa nel carcere di Messina insieme alla mamma nigeriana e al fratellino più piccolo, ricoverata d’urgenza dopo aver ingerito del veleno per topi. Storie dimenticate, ma impossibili da ignorare. Come ha denunciato il garante dei detenuti nell’ultima relazione al Parlamento, al 31 gennaio scorso in tutto il Paese si contavano quaranta piccoli detenuti. E con loro trentacinque madri, tredici italiane e ventidue straniere. La metà erano rinchiuse nelle sezioni nido degli istituti di pena, le altre negli istituti a custodia attenuata per madri (ICAM).
Quella dei piccoli reclusi è «una criticità che chiede soluzioni», denuncia il garante. Ma soprattutto è una grande ingiustizia, perché per risolvere la questione basterebbe davvero poco. Pochi giorni fa il deputato di Possibile Andrea Maestri ha presentato una proposta di legge in cui quantifica le risorse necessarie per risolvere la situazione. «Per garantire la tutela dei bambini detenuti - racconta il parlamentare - basterebbero 900mila euro annui. Questi fondi permetterebbero una sistemazione idonea e sicura».
Anzitutto il contesto. Le situazioni in cui si trovano questi bambini, tutti minori di tre anni, sono molto diverse tra loro. Come spiega il garante, alcune sezioni “nido” delle nostre carceri rappresentano una realtà positiva. Non mancano reparti bene attrezzati, accoglienti e sufficientemente collegati con il territorio per evitare l’isolamento dei più piccoli. Purtroppo non è così dappertutto. In Italia «sussistono ancora situazioni del tutto inidonee». Il documento depositato a Montecitorio nei mesi scorsi denuncia ad esempio la situazione della casa circondariale di Avellino. «La cella nido per le madri con i bambini - si legge - è di fatto semplicemente una stanza detentiva a due, nella sezione comune femminile, priva di qualsiasi attrezzatura necessaria per ospitare bambini così piccoli». Il carcere non ha mai attivato una collaborazione con l’asilo del territorio. Mentre le madri non possono accedere alla sala nido dove lavorano diverse puericultrici. E così i bambini devono scontare a tutti gli effetti una pena di cui non hanno alcuna responsabilità. «Di fatto vivono nella sezione detentiva comune, in celle prive delle dotazioni necessarie, in un contesto difficile anche per gli adulti, senza rapporti con le scuole o le organizzazioni locali».

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