Di Lucio Di Marzo
Tra le carte confluite nei Paradise Papers, appena pubblicate da un consorzio di oltre 90 testate nel mondo, ci sarebbero anche elementi per accusare la Apple, colpevole di avere utilizzato l'isoletta di Jersey, nel bel mezzo della Manica, per portarvi milardi di dollari.
Una scelta che fa del marchio hi tech soltanto una delle molte società coinvolte: la Nike avrebbe fatto lo stesso, scegliendo però come destinazione per i capitali le Bermuda.
"Non nascondiamo denaro in qualche isola dei Caraibi", aveva detto nel 2013 Cook al comitato per le indagini del Senato americano. Allora Apple era finita sotto accusa per lo schema che le avrebbe consentito di mantenere i suoi risparmi in Irlanda, dove poteva godere di una tassazione molto più favorevole.
E se nei Caraibi di soldi non ce n'erano, secondo il Consorzio internazionale di giornalismo investigativo sarebbero stati trasferiti a Jersey. 236 miliardi di dollari di Apple sarebbero così finiti nei paradisi fiscali al di fuori degli Stati Uniti.
E se accuse arrivano anche per Lewis Hamilton, intanto spuntano tra le carte i nomi di tre esponenti dell'amministrazione Trump, dall'ex finanziere Wilbur Ross, che guida il Commercio estero, all'ex amministratore di Exxon, Rex Tillerson, ora segretario di Stato, a Gary Cohn, ex Goldman Sahs, attuale consigliere economico della Casa Bianca.
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