Di Paolo Mastrolilli
Paul Manafort, ex manager della campagna presidenziale di Donald Trump, si è consegnato alle 8,15 di stamattina all’Fbi. Insieme al suo collaboratore Rick Gates, è accusato di 12 potenziali reati, che includono frode fiscale, riciclaggio e cospirazione contro gli Stati Uniti. E’ il primo colpo dell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller sulle collusioni tra la campagna di Trump e la Russia, per deragliare la candidatura di Hillary Clinton. La reazione iniziale della Casa Bianca è che i capi di accusa non riguardano il presidente, o le attività elettorali in maniera specifica, ma il timore è che questo sia solo l’inizio di un’offensiva legale capace di travolgere l’amministrazione.
È stato calcolato che circa 126 milioni di americani, cioè un terzo della popolazione, ha ricevuto su Facebook contenuti “sostenuti” dalla Russia, durante la campagna elettorale. Si tratta della metà dei potenziali elettori: è quanto emerge dalla testimonianza depositata da Facebook presso la commissione Giudiziaria del Senato di cui Nbc ha preso visione.
Manafort era stato assunto da Trump nel marzo dell’anno scorso, come consigliere per la gestione della Convention, quando sembrava che la sua nomination sarebbe stata contestata. A giugno però Paul era diventato il manager della campagna, prendendo il posto di Corey Lewandowski. Alla fine di agosto, il consigliere di origini italiane era stato costretto alle dimissioni, quando si scoprì che aveva ricevuto diversi milioni di dollari per il lavoro compiuto a favore di politici ucraini legati alla Russia. Il suo posto era stato preso da Steve Bannon.
Mueller lo ha incriminato con un documento di 31 pagine, che contiene 12 capi d’accusa. I più gravi riguardano la frode fiscale, il riciclaggio, e la cospirazione per danneggiare gli Stati Uniti, la falsa testimonianza. I suoi comportamenti illegali avrebbero riguardato in particolare i soldi ricevuti dall’Ucraina e transitati su conti bancari a Cipro, mai denunciati, e sarebbero continuati fino al 2017, cioè anche nel corso della campagna presidenziale. Rick Gates, stretto collaboratore di Manafort anche all’epoca delle elezioni, è accusato degli stessi reati.
La prima reazione della Casa Bianca è che i crimini contestati non riguardano Trump, e non anno a che fare con la presunta collusione con la Russia durante la campagna presidenziale. Quindi se Manafort finirà in prigione, la cosa riguarderà solo lui e i suoi comportamenti personali, tenuti prima delle elezioni. Donald avrebbe solo commesso l’errore di fidarsi del consigliere sbagliato. Non è un bella notizia per la sua immagine, ma non si tratta di un reato, o della prova di aver cospirato con Mosca.
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