Di Roberto Pellegrino
Quindici minuti dopo le cinque di pomeriggio, dal Palau de la Generalitat, il cuore del potere della Catalogna, la bandiera di Spagna viene ammainata tra le urla e gli applausi del popolo indipendentista. Con 70 voti a favore, 10 contrari e due schede bianche, alla fine, il sogno dei catalani che non si sentono spagnoli si è quasi realizzato, contro tutti e tutto.
Almeno tra le mura del loro Parlament che, ieri, in una giornata campale per la storia spagnola, ha decretato un passo importante nel processo verso la secessione, approvando la cosiddetta «legge di transizione giuridica e di fondazione» della Repubblica. Una Costituente a tutti gli effetti, nata poco dopo le tre e trentacinque di pomeriggio.
Erano giorni, infatti, che le due falangi indipendentiste «Junts pel Sì» e «Cup» schiacciavano sull'acceleratore e avevano messo ormai con le spalle al muro l'indeciso president Carles Puigdemont. Lui, giovedì, al termine di una lunga notte di riunione col suo gabinetto di consiglieri e ministri, aveva passato la spinosa questione della dichiarazione unilaterale d'indipendenza, senza elezioni anticipate, direttamente nelle mani di Carme Forcadell e del Parlamento catalano. Sempre più solo e sotto le pressioni dei suoi alleati, Puigdemont, venerdì pomeriggio, al termine, della votazione aveva un altro sorriso, come fosse più rassicurato del passo compiuto. Ha intonato a gran voce, assieme al vice presidente Oriol Junqueras, il suo consigliere e portavoce Jordi Turull e ai suoi dell'emiciclo, «Els Segadors» (I mietitori), l'inno ottocentesco della Catalogna, come fossero soldati catalani chiamati a resistere alle baionette delle truppe madrilene.
Uno scrutinio voluto segreto, anche per ingannare i togati del Tribunale Supremo di Spagna, pronti a intravedere da lunedì, eventuali violazioni. Rapido e indolore, senza i rappresentanti dei Socialisti, dei Popolari e di Ciudadanos che hanno lasciato gli scranni in totale disaccordo, scesi, appena in tempo, dal treno in rotta di collisione con la Capital.
«Un parlamento legittimato dalla sua maggioranza di rappresentati legalmente votati, ha compiuto un passo atteso per molto tempo e per cui abbiamo tanto lottato», ha dichiarato, subito dopo l'esito dello urne, l'ex sindaco di Girona, che entrerà nei libri di storia come il presidente catalano ribelle. E, non essendo uno sciocco, Puigdemont ha anche ricordato: «Ora siamo pieni di gioia e di entusiasmo, ma dobbiamo essere coscienti che ci saranno ore difficili e momenti dove dovremo essere compatti, pronti a mantenere il polso della situazione, sempre su un terreno di pace, di civiltà e di dignità».
Poi, Puigdemont, si è rivolto ai numerosi sindaci della Catalogna giunti al Parlament. «Siamo noi, uniti assieme, che costituiamo il popolo e le sue istituzioni e oggi vedo qui tanti sindaci, uomini e donne, che rappresentano il collegamento tra istituzioni e cittadinanza. Con loro andiamo a costruire il nostro Paese e il nostro popolo».
Parole pronunciate con la pancia e con il cuore, molto sentite, seguite dal discorso del vice, il gigante Junqueras: «Sono momenti di grande gioia, ma anche di speranza e di responsabilità. Mi rivolgo alla nostra gente, a coloro che si sentono sereni e a coloro che, invece, hanno ancora molti dubbi. Vi prego di essere responsabili, umili e sereni, perché stiamo procedendo in accordo ai valori universali di pace e di democrazia che tutto il mondo condivide». Ma che non accetta l'Europa che, per voce del presidente del Consiglio, Donald Tusk, ieri, ha detto: «Per l'Ue non è cambiato nulla, l'unico interlocutore rimane la Spagna».
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