Di Stefano Sandrelli
Non c’è niente da fare: ti prende un senso di vertigine di fronte al telescopio rifrattore Merz-Repsold da 49 centimetri, uno dei più grandi investimenti scientifici del neonato Regno d’Italia, che Giovanni Virginio Schiaparelli utilizzò per perfezionare le sue osservazioni del pianeta Marte dal 1886 al 1890.
Nella sua nuova collocazione, presso la sezione astronomica del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, lo strumento acquisisce una presenza fisica degna di un tirannosauro, con un tubo ottico di oltre sette metri, montato su un sostegno alto 5 metri, per una massa complessiva di ben 7 tonnellate. Eppure non sono le dimensioni che ti fanno mancare il fiato, mentre cerchi di cogliere con lo sguardo il grande telescopio.
C’è qualcosa di più sottile e insidioso: un fascino che s’intuisce ma non si coglie del tutto. Qualcosa di sbagliato, che ha il sapore dell’impossibile o dell’indebito, come un delitto senza castigo. Come se il tirannosauro sorridesse con consapevolezza – estinto, ma soddisfatto di se stesso.
Mentre lo guardi, ti ritrovi in testa sapori, odori, suoni improvvisi, fatti da cassoeula lombarda e filati di cotone, escargot parigine e Carmina Burana. Con un retrogusto che non ti aspetteresti e che è diabolicamente fuori moda al giorno di oggi: un retrogusto di tenerezza.
È che il telescopio, ormai cieco perché privo dell’obiettivo originale, funziona benissimo come macchina del tempo. Basta un’occhiata e la mente del visitatore viene agganciata e trasportata in notti e giorni di più di 130 anni fa, in una Milano nebbiosa, ottimista e scomparsa, che aveva da poco salutato Alessandro Manzoni e Francesco Hayez, ma che aveva conosciuto la poetica dei I malavoglia; una città umida e vitale nella quale, a poca distanza dal Duomo, era stata appena fondata la prima centrale elettrica d’Europa e che puntava a divenire una delle capitali della conoscenza scientifica del continente. Siamo nel 1886 e il grande telescopio era, all’epoca, davvero un telescopio: installato in una cupola che adesso non c’è più, sui tetti dell’Osservatorio di Brera scrutava Marte con un obiettivo preciso: capire che cosa ci fosse veramente sulla superficie del Pianeta rosso.
La storia è ben nota: nell’estate di nove anni prima, nel 1877, Schiaparelli, direttore dell’Osservatorio di Brera, aveva approfittato di una fortunata congiunzione orbitale per osservare Marte. Non c’era nessun motivo per farlo, se non che il Pianeta rosso era particolarmente ben visibile e Schiaparelli particolarmente curioso. L’astronomo aveva utilizzato un telescopio Merz con un obiettivo di 21 cm di ottima qualità ottica, inaugurando la moderna planetologia comparata e suscitando enorme impressione a livello internazionale: per la prima volta si vedevano dettagli del tutto ignoti della superficie del pianeta. Schiaparelli aveva chiamato “mari” le zone più scure, “continenti” quelle più chiare. E battezza poi “canali” una fitta rete di linee scure, fatta di semplici segmenti: da lì a là su Marte. Il dibattito scientifico scoppia e, non appena se ne presenta l’occasione, Schiaparelli chiede e ottiene un nuovo strumento per approfondire le osservazioni: il Merz-Repsold, appunto. Che cosa c’è veramente su Marte?
Fonte e articolo completo:http://www.media.inaf.it/2017/09/12/merz-repsold-schiaparelli/
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Foto:Il telescopio Merz-Repsold di 49 centimetri di diametro in una foto d’epoca. Fonte: museoscienza.org
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