QUELL’ORO CHE MUSSOLINI AFFIDO’ A GELLI E CHE IL GRAN MAESTRO DISTRIBUI’ FRA AREZZO E IL PCI – I LINGOTTI DI “CASA WANDA” RITROVATI ANCHE IN ARGENTINA, ORA IL METALLO PREZIOSO RISCHIA DI INGUAIARE BANCA ETRURIA – LE INCHIESTE DELLA GUARDIA DI FINANZA E LA CONNECTION INTERNAZIONALE DEL MERCATO NERO

lug 5, 2017 0 comments


Di Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi  per il Sole 24 Ore

La leggenda aretina narra che nelle fortune del distretto dell'oro ci sia lo zampino di Licio Gelli, passato alla storia come il Venerabile della Loggia P2. La città racconta ancora che nella scomparsa di decine di tonnellate d'oro che facevano parte di un carico di 60 tonnellate che l'allora re diciottenne della Jugoslavia Pietro II Karadordevic fece partire con un treno speciale il 17 marzo 1941, Gelli avesse avuto una parte rilevante.
L'intera riserva di un Paese sotto l'attacco di Adolf Hitler, stipata in 57 vagoni e oltre 1.300 bauli, non riuscì però a lasciare la Jugoslavia per raggiungere l'Egitto e venne nascosta nelle grotte del Montenegro, presto occupato dai fascisti. Nel 1943, non si sa come, il regime rintracciò l'oro e Benito Mussolini affidò al giovane fascista Gelli il compito di portare il carico a Trieste, evitando la frontiera hitleriana e facendolo viaggiare su un treno speciale e blindato, con a bordo 73 malati di vaiolo.

Da quel punto la leggenda narra che Gelli affidò 8 tonnellate alla Banca d'Italia e ne sottrasse 52, una parte delle quali giunse a destinazione nei pressi della stazione ferroviaria di Arezzo per la felicità di una collettività che mise a frutto quel dono insperato.
LICIO GELLI CARTA IDENTITALICIO GELLI CARTA IDENTITA
Per dare un'idea dell'immenso valore di quel carico, attualizzando alle cifre correnti il valore, il tesoro varrebbe tra 1,8 e 2 miliardi, una cifra pari all'ultimo dato censito sull'export del distretto aretino.

IL CARICO SPARITO, GELLI E IL PCI
La leggenda è più intricata e fascinosa di quanto si possa pensare perché il prosieguo narra di 25 tonnellate rimaste nella disponibilità del futuro piduista e 27 tonnellate cedute all'allora Pci. Come spiegò nel 1984 l'allora parlamentare radicale Massimo Teodori, da pagina 37 della Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia massonica P2, «fra le tante supposizioni ed ipotesi interpretative, una cosa soltanto non è controversa: che cioè nel 1944-1945 Gelli collaborò con il Pci, attraverso la componente del Cln, e che dal partito gli vennero aiuto e protezione per superare le difficoltà incontrate come repubblichino e collaborazionista, cosa che gli permise di superare indenne quei giorni, forse anche salvando la vita».

Vero? Falso? Verosimile? Fascinazione? Gelli ha sempre negato ma resta il fatto che il 14 settembre 1998, abilmente nascosti perfino nelle fioriere della lussuosa Villa Wanda a Castiglion Fibocchi (Arezzo), dove ha vissuto fino alla morte, sopraggiunta il 15 dicembre 2015, gli investigatori sequestrarono 164 chili d'oro distribuiti in centinaia di piccoli lingotti. La maggior parte dell'oro recava punzonature e timbri di Paesi dell'Est (ex Unione sovietica in primis), altri erano stati sdoganati in Svizzera, altri ancora non si sapeva da dove provenissero.
LICIO GELLILICIO GELLI

Oro in “nero”. Sedici anni prima, correva il 1983, dieci lingotti riconducibili a Gelli spuntarono in una banca argentina di Buenos Aires mentre nel 1986 la magistratura elvetica scoprì, in una cassetta di sicurezza dell'Ubs di Lugano, 250 chili d'oro in lingotti, verosimilmente frutto della spoliazione del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.

I NUMERI DEL DISTRETTO
Gelli o non Gelli, il distretto orafo si sviluppa nell'area aretina (Arezzo, Capolona, Castiglion Fibocchi, Civitella in Val di Chiana, Monte San Savino, Subbiano) e nella Val di Chiana aretina (Castiglion Fiorentino, Cortona, Foiano della Chiana, Lucignano, Marciano della Chiana), alla quale si aggiungono i comuni di Laterina e Pergine Valdarno.

La gamma della produzione è omnicomprensiva ma i marchi di fabbrica locali sono l'oreficeria e l'argenteria a maglia catena e stampata. La lavorazione dei metalli preziosi si è sviluppata soprattutto negli anni Settanta ed Ottanta, grazie al ruolo svolto per molti anni dall'impresa leader (Uno A Erre) nell'attivare processi di gemmazione imprenditoriale e trasferimento di innovazioni.

Il distretto orafo della provincia di Arezzo, riconosciuto con delibera del Consiglio regionale della Toscana n. 69 del 21 febbraio 2000, conta 1.592 imprese, di cui 1.216 con meno di 50 addetti, 7.669 persone occupate e un export di quasi 4 miliardi (fonte: Osservatorio nazionale dei distretti italiani, dati 2013/2014).  Le statistiche del Club degli orafi italiani, che le aggiorna periodicamente con Banca Intesa, indicano il distretto di Arezzo in testa alle esportazioni con oltre 1,8 miliardi (-1,1% sul 2015) e un import di 86,3 milioni nel 2015 (-24.4% sul 2014).

VILLA WANDA DI LICIO GELLIVILLA WANDA DI LICIO GELLI
Anche se questo polo non è più ricco come una volta, le grandi aziende orafe e i banchi metalli - come Uno a Erre e Chimet - continuano ad alimentare l'economia del luogo e la loro visibilità è perenne. Sui taxi, ad esempio, il loro logo è una costante, così come le continue sponsorizzazioni a manifestazioni, eventi e iniziative.

IL FILO DELL'ORO “IN NERO” E GLI EFFETTI DELLA CRISI
La crisi ha aggravato la posizione soprattutto delle realtà più piccole e molte, tra quelle rimaste, per sopravvivere praticano il “nero”.  l fatturato italiano calcolato dal Club degli orafi per il 2016 è stato di oltre 7,7 miliardi (+9,3% sul 2015), esportazioni per 6,2 miliardi (di cui 5,4 miliardi solo gioielli in preziosi, vale a dire in oro, argento o altri metalli preziosi anche rivestiti o placcati) con un calo complessivo del 4,6% sull'anno precedente.

I dati Istat relativi alla produzione (-1,9%) e alle esportazioni, sia in valore (-4,6%) che in quantità (-1,8% per i soli gioielli in metalli preziosi) confermano le difficoltà del settore orafo nel 2016, in corrispondenza con un calo importante della domanda mondiale di gioielli in oro, in particolare da parte dei due grandi acquirenti (Cina e India). Nel 2016 le esportazioni italiane di gioielleria e bigiotteria hanno perso circa 300 milioni rispetto al 2015, con cali diffusi a quasi tutti i mercati di sbocco e con una nuova contrazione importante verso gli Emirati Arabi Uniti (-15%, pari a 160 milioni in meno), Paese di “entrata” per il resto del Medio oriente e l'India. Negative anche le esportazioni verso Svizzera e Francia (-6,7% e -10,6%), Paesi dove sono spesso spediti i gioielli made in Italy commissionati dalle grandi maison di moda (successivamente destinate ad altri mercati di sbocco finali) e verso Hong Kong (-9,1%).
Roberto CalviROBERTO CALVI

Secondo le statistiche sul fatturato (indagine Istat campionaria rivolta alle imprese con più di 20 addetti) il settore gioielleria e bigiotteria avrebbe, invece, chiuso il 2016 in crescita del 9,3%, grazie a risultati brillanti sia sul mercato interno (+6,7%) che su quelli esteri (+10,7%), dato in contraddizione con le informazioni sui flussi di export, che sottolinea le difficoltà di monitorare un settore altamente frammentato come quello orafo.

Nessuna tra le fonti intervistate dal Sole-24 Ore ha voluto metterci la faccia o la voce ma tutti concordano nel dire che, ormai, (almeno) un'operazione su due non è tracciabile e sfugge ai radar del Fisco. Accade ad Arezzo ma accade anche negli altri distretti dell'oro (Valenza Po, Marcianise e Vicenza) tra loro legati più di quanto possa apparire e non solo per i legami commerciali ma anche sul fronte delle indagini giudiziarie. In vero il “nero” compare in tutte le operazioni commerciali, qualunque settore si prenda in considerazione ed è logico che il settore orafo non faccia eccezione.

ARGENTO VIVO
Le più recenti indagini delle Fiamme Gialle, su delega della Procura di Arezzo, lo provano, anche se tutti i processi, spesso suddivisi in più filoni giudiziari, devono ancora essere definitivamente chiusi.  Tra l'11 e il 14 febbraio 2015 il Nucleo di Polizia tributaria della Gdf ha messo a segno un'indagine – denominata Argento vivo – sul conto di alcune azienda del distretto orafo aretino. Ancora una volta una frode fiscale in atto nel settore del commercio di metalli preziosi (principalmente argento, ma anche platino e palladio), perpetrata attraverso modalità e tecniche analoghe a quelle delle cosiddette “frodi carosello” all'Iva.

etruria oroETRURIA ORO
Uno dei quattro soggetti colpiti dal provvedimento di fermo ha chiesto di essere interrogato subito da Marco Dioni, il pubblico ministero titolare delle indagini, al quale ha reso dichiarazioni di grande valore probatorio, confermando la bontà dell'impianto accusatorio. Per la collaborazione ha ottenuto gli arresti domiciliari. Il 14 febbraio 2015, il Gip del Tribunale di Arezzo Annamaria Loprete ha ritenuto confermati i gravi ed eclatanti indizi di colpevolezza, fortificati dalle dichiarazioni confessorie rese nel corso degli interrogatori per la convalida della misura precautelare, resi il giorno prima dai quattro indagati, emettendo nei loro confronti un'ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari presso le rispettive abitazioni e con divieto di comunicazione, poiché ha ritenuto sussistere il pericolo di reiterazione di reati analoghi, nonché di inquinamento probatorio.

La Procura della Repubblica di Arezzo ha ordinato il sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca delle disponibilità finanziarie detenute dagli indagati e dalle società a questi riferibili, da bloccare presso gli Istituti di credito, fino a concorrenza della somma di 3.270.203,06 euro, corrispondente ad un valore equivalente al profitto del reato finora determinato.

In poco meno di tre mesi (da ottobre a dicembre 2014), seguendo le tracce delle utenze mobili in uso agli indagati per le comunicazioni “one to one” e attraverso osservazioni, pedinamenti e riscontri, è stata fatta luce sull'esistenza di due presunte e distinte organizzazioni criminali, originariamente operative in modo unitario, capeggiate da due aretini che pur non avendo alcun ruolo formale nelle società coinvolte negli illeciti fiscali, erano in grado di controllarne l'operatività, dirigendo i sistemi fraudolenti.

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