Libia, la miopia di quelli che gioivano per la caduta di Gheddafi

mag 26, 2017 0 comments
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Di Domenico Ferrara

"Se non aiutate la Libia, voi avrete Al Qaeda a 50 km dai confini dell’Europa". Ancora una volta, l'ultima profezia di Gheddafi rimbomba nelle orecchie di coloro che hanno voluto la sua caduta.
Ora che la strage di Manchester ha messo in luce un filo rosso che la collega a Tripoli e che mette in relazione il kamikaze Abedi con il network jihadista di Al Qaeda, il dubbio che qualche errore (almeno di miopia) sia stato commesso riaffiora. Anche il ministro dell'Interno, Marco Minniti, è stato esplicito: "Emerge per la prima volta un link diretto con la Libia". Nel marzo 2015 l'allora ministro degli Esteri sentenziava: "La Libia è il focolaio del terrorismo". Adesso, tutti a dire che bisogna intervenire lì, non solo contro la piaga del terrorismo ma anche contro l'invasione di migranti.
Eppure, quando venne decretata la fine di Gheddafi erano tutti a brindare e a festeggiare la nuova era del paese. Nel 2011 i vertici Ue, il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso e il presidente permanente del Consiglio Herman Van Rompuy a ''riferita morte'' del raìs chiosavano: “È la fine di un'era di dispotismo e repressione della quale il popolo libico ha sofferto troppo a lungo''. È la stessa Ue che per anni non ha mosso un dito per aiutare i paesi colpiti dall'invasione dei barconi e che ora prova a sanare le ferite. Il principale artefice dei bombardamenti in Libia, Nicholas Sarkozy, parlava di “una nuova pagina per il popolo libico, quella della riconciliazione nell'unità e nella libertà, la liberazione di Sirte deve segnare, insieme con gli impegni presi dal Consiglio nazionale di transizione, l'inizio del processo avallato dal Cnt per stabilire in Libia un regime democratico nel quale tutte le componenti del paese avranno il loro posto e in cui le liberta' fondamentali saranno garantite''.
L'altra artefice, Hillary Clinton, gli faceva eco: “Inizia una nuova era per la Libia. La nostra speranza è che la nuova democrazia voluta dai libici possa realizzarsi seriamente''. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, inviava al presidente del Consiglio Nazionale Provvisorio della Libia, Mustafa Abd Al-Jalil, il seguente messaggio: ''Ho appreso con soddisfazione la notizia della formazione di un governo transitorio in Libia, nel pieno rispetto del calendario previsto dal Consiglio Nazionale Provvisorio con l'obiettivo di aprire il paese ad un futuro prospero e democratico. L'Italia è vicina all'amico popolo libico in questa decisiva fase della sua storia, nello spirito di un rinnovato impegno a operare assieme per lo sviluppo delle relazioni fra i nostri due paesi e per la stabilita' e la crescita della comune regione mediterranea''. Prima aveva spinto (per non dire obbligato) il nostro paese a entrare nella coalizione anti Gheddafi spiegando che l'Italia non può rimanere indifferente alla repressione della libertà in Libia e non può lasciar calpestare il risorgimento arabo. L'allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, era della stessa opinione: "Inizia un nuovo assetto politico, una nuova fase di collaborazione tra Libia, gli altri paesi e il nostro paese. Bisgogna essere fiduciosi ma anche tenere presente che ci sono molte incognite su quello che, esaurita la parentesi gheddafiana, sarà il futuro della Libia”. Angela Merkel gongolava: “'La strada è libera adesso per un nuovo inizio politico nella pace''. Di pace non si vede l'ombra. Anzi, la Libia è diventata un terreno fertile per jihadisti, fazioni e scafisti. "Il mio più grande errore è stato di non aver avuto un piano per cosa fare in Libia", ammise Barack Obama un anno fa.

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