Il citizen journalist che sfida l’Isis: “Il Web è libertà”

mag 28, 2017 0 comments
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Di Giordano Stabile

Abdalaziz Alhamza sa che per la sua città, Raqqa, l’ultima parte del viaggio verso la libertà è la più difficile. “I miei concittadini sono nella peggiore situazione di sempre. La morte arriva da terra, per mano dei terroristi dell’Isis, e dal cielo, con raid sempre più frequenti, meno accurati, che fanno tantissime vittime civili”. Alhamza non vuole che Raqqa sia chiamata la “capitale dello Stato islamico”. L’Isis non è stato accolto da liberatore a Raqqa, come in altre città della Siria o dell’Iraq: “Siamo quelli che abbiamo resistito di più – racconta – e abbiamo pagato un prezzo molto alto”. 


Esule a Berlino  
Abdalaziz Alhamza, 26 anni, biochimico, è leader e portavoce del collettivo “Raqqa viene trucidata in silenzio”, conosciuto con l’acronimo inglese Rbss. Da due anni vive in Germania, a Berlino. L’Isis ha messo una taglia sulla sua testa, e incitato i lupi solitari in Europa a ucciderlo. Gli islamisti a un certo punto hanno messo online anche il suo indirizzo. “Il Web è uno strumento – spiega – la nostra arma più potente, può essere usato per il bene, per lottare per la libertà, o per il male”. Un concetto che sarà ribadito nel suo discorso al Wired Next Fest, questa mattina alle 10 ai Giardini Indro Montanelli di Milano. 

Smascherare i terroristi  
L’Isis certo lo usa per la propaganda assassina, e sfrutta tutte le possibilità tecniche, a cominciare dai messaggi criptati, per diffondere il suo messaggio di morte. Il collettivo di cittadini giornalisti di Raqqa guidato da Alhamza usa il Web per smascherare le atrocità dei terroristi, la loro corruzione, i loro lati ridicoli, anche con vignette e graffiti realizzati sui muri delle case e poi postati in Rete. E soprattutto informare il mondo, con notizie di prima mano, su che cosa è davvero la vita nel Califfato.  

Le rappresaglie  
Un sfida ad altissimo rischio. Alhamza ricorda il momento più duro, quando quattro dei componenti del collettivo, 17 persone in tutto, sono stati traditi da una spia infiltrata dall’Isis all’interno e trucidati. Altri hanno perso amici e famigliari. “Hanno sequestrato il padre e tre amici di uno di loro, e gli hanno detto che gli avrebbero lasciati andare solo se facevano i nomi di tre dei nostri reporter. Hanno rifiutato. I terroristi hanno ucciso il padre. Hanno filmato l’esecuzione e hanno inviato il video al figlio”. 

Trucchi sotto il niqab  
Il collettivo Rbss è comunque riuscito a mantenere una squadra all’interno di Raqqa, anche oggi ci sono 10 giornalisti che riescono a far filtrare notizie, nonostante tutti gli Internet Caffè siano stati chiusi, i collegamenti siano quasi impossibili e i controlli dei jihadisti asfissianti. “Abbiamo i nostri trucchi, che ovviamente non posso rendere pubblici”. Il collettivo in passato ha sfruttato le collaboratrici donne, che devono girare completamente coperte e non possono essere toccate da un uomo, per far uscire messaggi. 

Kamikaze e rifugiati  
Mano a mano che la pressione dell’Isis cresceva sui reporter a Raqqa, il gruppo ha usato sempre più la Turchia come retrovia, in particolare Gaziantep, dove vivono decine di migliaia di rifugiati siriani. Ma l’Isis è arrivato anche lì. Ha ucciso con un cecchino, in pieno giorno, Naji Jerf, filmaker, “il padre del gruppo”, come lo definisce con rimpianto Alhamza. Gli islamisti hanno anche cercato di colpire il quartier generale di Rbss a Gaziantep con un’autobomba kamikaze, intercettata dalle forze di sicurezza turche. 

L’ultima battaglia  
I citizen journalist sono andati avanti lo stesso. Ora la fine del Califfato è vicina, le avanguardie delle Syrian democratic forces, guidate dai curdi alleati degli Usa, sono a 15 chilometri dal centro e possono vedere a occhio nudo i minareti della grande moschea. Ma Alhamza è preoccupato per i 300 mila civili intrappolati in città. “Non c’è acqua potabile, elettricità, mancano i medicinali, c’è il rischio di epidemie. I raid sono sempre più frequenti e meno accurati, fra Siria e Iraq in otto settimane hanno ucciso oltre mille persone. Hanno un impatto molto negativo sulla popolazione”. E sono usati nella propaganda dell’Isis per cercare consensi. 

Potere ai cittadini  
L’altro problema è il dopo. La gente di Raqqa teme l’arrivo dei curdi. “Le forze che stanno cercando di liberare la città sono monopolizzate dai guerriglieri dello Ypg. Non credo che siano in grado di gestire il dopo-Isis. Soltanto un governo dei cittadini, dal basso, può farlo, in maniera democratica”. Il collettivo di Rbss, nato dalle proteste di massa contro il regime di Bashar al-Assad, è anche un tentativo in questo senso, la volontà di semplici persone di riprendere in mano la propria vita. A partire dall’informazione. 

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