In queste ore in cui stanno emergendo i primi dettagli su Salman Abedi, tre dinamiche meritano particolare attenzione. La prima sono i contatti operativi dell' attentatore di Manchester.Desta particolare preoccupazione il fatto che le autorità ritengano sia «pressoché impossibile» che il giovane abbia confezionato un ordigno così sofisticato da solo.
Pare che Abedi sia stato di recente sia in Libia che in Siria. Qualcuno gli ha dato l' ordigno durante uno di questi viaggi e Abedi l' ha riportato con sé in patria? O gli sono state impartite le conoscenze necessarie e poi Abedi ha fatto tutto da solo una volta tornato a Manchester? Oppure esiste un esperto artificiere jihadista che opera in Inghilterra, cosa che forse giustificherebbe la dichiarazione di Theresa May su un altro attentato imminente? Ciascuna delle tre ipotesi costituisce una problematica con enormi ripercussioni per l' antiterrorismo non solo inglese ma di tutta Europa.
Quello che invece è sempre più chiaro è che Abedi era tutto tranne che un lupo solitario. I viaggi in Libia e Siria e le frequentazioni in Inghilterra. Ma anche i contatti online con famosi reclutatori virtuali del Califfato quali Raphael Hostey, un convertito di Manchester che dalla Siria, utilizzando varie piattaforme social, ha creato un network globale di simpatizzanti jihadisti.
Via tastiera Hostey ne ha mobilitati a centinaia, prima fornendo loro i contatti giusti per arrivare in Siria e oggi, pressoché chiuse le porte del Califfato, spingendoli a compiere attentati nei Paesi di origine. Prematuro dire se sia avvenuto a Manchester, ma quella dell' attacco pilotato a distanza è una dinamica già vista in Europa e che continuerà ancor di più allorché il Califfato perderà la sua territorialità .
Infine, balza all' occhio anche una caratteristica del profilo di Abedi: la devozione sua e della sua famiglia. Viene spesso detto che i jihadisti europei sono degli sbandati che non sanno nulla di Islam e che proprio questa ignoranza è ciò che consente alla propaganda jihadista di abbindolarli con interpretazioni semplicistiche dei testi islamici.
Indubbiamente alcuni sono dei novizi dell' Islam, spostati che poco sanno e poco vogliono sapere dei dettami della religione in nome della quale uccidono. Ma altri jihadisti l' Islam lo hanno studiato, eccome. L' intera famiglia di Abedi era molto attiva nella moschea di Didsbury, sobborgo di Manchester, e Salman era un hafiz, uno che ha memorizzato il Corano. È solo uno dei tanti esempi che dimostrano che l' educazione religiosa non è quell' antidoto magico alla radicalizzazione che alcune organizzazioni islamiste sostengono sia.
Anzi, nel caso di Abedi non si può ignorare il fatto che sia cresciuto in un ambiente legato all' islamismo dei Fratelli Musulmani. La moschea di Didsbury, infatti, è un noto hub della branca libica della Fratellanza in Inghilterra ed era stato in passato al centro di un' inchiesta per il finanziamento a gruppi jihadisti opposti a Gheddafi. I Fratelli sono tutt' altra cosa rispetto all' Isis, che li vede come traditori della causa islamista piegati al gioco politico invece di combattere la jihad (mentre i Fratelli, che condannano il terrorismo dello Stato Islamico, vedono i jihadisti un po' come certe branche del partito comunista vedevano i brigatisti, dei «compagni che sbagliano»).
Ma momenti di sovrapposizione, sia dal punto di vista ideologico che, a volte, operativo, esistono. Non sciocca pertanto che un giovane che cresce in un ambiente in cui la violenza politica, anche se meno indiscriminata di quella dei jihadisti, è spesso giustificata e santificata faccia il passo successivo e si unisca alla fazione più estrema del movimento islamista.
È quindi chiaro che non è tanto la conoscenza dei testi islamici in sé che determina una capacità di resistere alle devianze dei jihadisti, ma chi la fornisce e che movimenti islamisti, anche se non direttamente violenti, a volte fanno compiere i primi passi di un cammino di radicalizzazione che porta al terrorismo.
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