Di Lorenzo Padovan
Poco più di 48 ore: tanto hanno resistito i Governi di Croazia, Slovenia e Ungheria prima di alzare bandiera bianca e ottenere dalla Ue la sospensione dei controlli a tappeto alle frontiere esterne dell’area Schengen. Il Consiglio dell’Unione aveva imposto, da venerdì scorso, con una misura della massima urgenza, il blocco ai passaggi trans-frontalieri basati unicamente su verifiche a spot.
Chiunque transitasse in quella zona dei Balcani, nelle due direzioni, doveva essere passato al setaccio da tre diverse banche dati, attraverso la scannerizzazione dei documenti di identità di tutti, passeggeri dei pullman granturismo compresi. Aumento della pressione alle frontiere che era stato visto con un certo scetticismo già dagli esperti di politica internazionale, che avevano sottolineato come la misura avesse una sicura valenza contro la criminalità organizzata, ma non rispetto ai «cani sciolti» dell’Isis. Forse anche per questo, nei due giorni in cui le frontiere del perimetro di Schengen sono rimaste blindate, nessun terrorista o foreign fighters di ritorno dalla Siria o dall’Iraq è finito nelle maglie dell’Interpol. In compenso, si sono formate code chilometriche che, in alcuni casi, hanno provocato attese oltre le tre ore.
Immaginando cosa potesse accadere nell’imminente fine settimana di Pasqua, i tre Paesi hanno invocato clemenza e il commissario europeo per gli Affari interni e l’Immigrazione Dimitris Avramopoulos ha dato il proprio assenso alla sospensione, con effetto immediato, dell’applicazione della nuova normativa, che significa abbassare nuovamente la guardia sulla famigerata rotta che collega con Albania, Bosnia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo.
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