Ex qaedisti, Isis e al Shabaab, il link jihadista in Svezia

apr 7, 2017 0 comments
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Di Augusto Rubei
Ancora un camion sulla folla. Come a Nizza e a Berlino. Come a Londra, anche se la dinamica del'attacco al Westminster è stata più complessa e articolata di quella di Stoccolma. La polizia svedese ha fatto sapere di essere sulle tracce di un uomo connesso in qualche modo all'attentato. Non è chiaro se sia l'autore o un complice. Non è chiaro se ad agire, insomma, sia stato un lupo solitario, una cellula organizzata o una self starter, anche se l'aggressione sembra piuttosto improvvisata.
Secondo alcuni testimoni il camion usato sarebbe di proprietà di una ditta di birra, la Spendrups. Il terrorista lo avrebbe rubato mentre l'autista era impegnato a scaricare della merce in un ristorante. Quindi un colpo casuale, nessuna programmazione. In effetti, è assai improbabile che l'Isis abbia pianificato di colpire nello stesso giorno dei raid in Siria. Normalmente queste sono azioni dimostrative, non conta il bilancio delle vittime, quel che conta è l'impatto mediatico del gesto, che nel bel mezzo del braccio di ferro tra Washington e Mosca sull'attacco chimico di Idlib rischia di essere oscurato.
Questo non significa che l'attentatore non possa essere un simpatizzante dello Stato Islamico. Oramai il processo di "apostasia" in corso da al Qaeda e altri gruppi verso il Califfato rende difficile individuare l'origine e la natura egli attentatori. Prendiamo Charlie Hebdo, al principio tutti avevano pensato ad al Baghdadi, poi l'assalto fu rivendicato da al Qaeda nello Yemen (Aqpa).
I numeri della Säkerhetspolisen (meglio nota con l'acronimo di Säpo), il ramo dei servizi svedesi che si occupa di controspionaggio e antiterrorismo, ci dicono che sono più di 50 i foreign fighter rientrati nel Paese dal fronte siro-iracheno. Almeno in 300 svedesi si sarebbero uniti in questi anni all'Isis, tra cui più di 20 donne. E' dalle esplosioni del 2010 che in Svezia si è alzato il livello d'allerta. E il bersaglio di oggi è lo stesso di allora, ma sarebbe ingiusto tracciare un parallelo tra i due episodi. Sono troppo diversi per poter esprimere un giudizio sulle reali capacità dell'intelligence svedese. Certi attacchi non si possono prevedere.
Quel che sappiamo, però, è che l'attenzione degli estremisti verso la Svezia non è nuova. Oltre al network Isis (ricordiamo lo scorso anno l'aspirante kamikaze Aydin Sevigin, 20 anni), c'è il link somalo che merita attenzione. Proprio tra Stoccolma e dintorni c'è una comunità di circa 50 mila persone di origine somala. Molti di questi sono perfettamente integrati, altri in passato sono stati accusati di aver fatto sponda con alcune cellule jihadiste, in primis al Shabaab. Nel 2011 le teste di cuoio locali sventarono un attacco alla Biennale d'arte contemporanea di Goteborg. L'ospite d'onore era Lars Vilks, l'artista salito alle cronache per le sue vignette sul profeta Maometto. Vennero evacuate 400 persone e arrestati quattro uomini. Tutti somali, tra i 24 e i 26 anni, col passaporto svedese. Un altro nome è quello di Munir Awad, tra gli ideatori dell'assalto al giornale danese Jyllands-Posten, nel 2010, condannato in Svezia a 12 anni di reclusione.
Sono dei dati da considerare, questi, anche se in realtà è tutta la regione scandinava ad essere interessata dal fenomeno jihadista. Hassan Abdi Dhuhulow, uno degli attentatori del Westgate di Nairobi, passò moltissimi anni a Lavrik, un villaggio della costa orientale norvegese noto per la caccia alle balene. Ikrima al Muhajir, altra figura di spicco tra i miliziani di al Shabaab, avrebbe vissuto per 4 anni in Norvegia, dal 2004 al 2008, e transitato in Svezia più volte, così come Abu Musab al Somali, intercettato in numerose conversazioni telefoniche mentre progettava una serie di attacchi in Danimarca. Infine Jehad Serwan Mostafa e Abdelkadir Warsame, altri due uomini del terrore. Il primo è ancora inserito nella lista dei "most wanted" dell'Fbi, il secondo è stato arrestato qualche anno fa dalle teste di cuoio americane.

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