Il patto tra Washington e Madrid
Di Lorenzo Vita
Mentre tutti i governi occidentali si sono affrettati da subito ad appoggiare in modo più o meno evidente Hillary Clinton durante la campagna elettorale, e a fare una maldestra marcia indietro dopo la vittoria di Donald Trump, c’è un governo, in Europa, che ha da subito espresso appoggio al neo-presidente americano: è il governo spagnolo a guida di Mariano Rajoy.
Il leader del Partido Popular, uscito malconcio da un anno di elezioni che hanno consegnato alla Spagna un governo di “larghe intese” con l’appoggio esterno delle opposizioni, non ha mai nascosto la sua capacità di poter dialogare con il tycoon e non ha mai nascosto il suo intento di rendere ancora più salda l’alleanza che lega Madrid a Washington.
Non è un patto ideologico, non sarà un’alleanza culturale, quella che lega il timido Rajoy con l’esuberante presidente degli Stati Uniti, ma un matrimonio di convenienza, che sembra tuttavia nascere con i migliori auspici. Nell’ultima telefonata che è intercorsa fra i due leader, a parte i convenevoli diplomatici del caso, le parole pronunciate da parte di Madrid sono state franche, e sono state molto chiare, sintetizzabili nel seguente modo: la Spagna di Mariano Rajoy vuole essere l’interlocutore privilegiato della Casa Bianca nell’Unione Europea e verso i Paesi dell’America Latina.
Un compito tutt’altro che semplice, ma che al contempo porterebbe la Spagna a ritagliarsi un fondamentale spazio nelle relazioni internazionali, liberandola da quel vuoto che sembra averla avviluppata nel corso degli ultimi anni. Era dai tempi di Aznar che Usa e Spagna non andavano così d’accordo, ed entrambi gli Stati hanno interesse a che questo matrimonio continui.
Trump si è affrettato ad esaltare Brexit e i movimenti euroscettici, ma adesso ha capito che, volente o nolente, l’Unione europea è un corpo con cui prima o poi dovrà entrare in contatto, ed ha necessità di una testa di ponte. Non potrà essere la Germania di Merkel o Schulz, entrambi profondamente avversari delle politiche di Trump e, l’uno o l’altro, futuri cancellieri del Paese che l’America ha da poco tempo messo sotto stretta osservazione per le politiche di manipolazione del denaro. Non potrà essere la Francia, qualora perdesse Marine Le Pen, perché è chiaro che il futuro presidente (se non sarà del Front National) sarà profondamente europeista. Non potrà essere l’Italia, che si barcamena fra governi di scopo, di breve durata, tendenzialmente anemici, incolori e comunque troppo poco stabili. Ed ecco che, in quarta posizione, ad esclusione, spunta l’insospettabile: la Spagna.
Il governo spagnolo offre garanzie solide alla Casa Bianca: è insediato da poco, ma Rajoy governa già da anni; è di stampo conservatore, seppur profondamente edulcorato; in Europa è l’unico Paese amico che offre stabilità e le elezioni, almeno ora, non sembrano vicine; infine, ha da subito teso la mano a “the Donald” mentre il resto del mondo si affrettava a compiangere la mancata elezione della Clinton. In tutto questo, non va dimenticato il profondo legame del Regno di Spagna con le Americhe. Da un lato, gli investimenti spagnoli negli Usa stanno aumentando notevolmente negli ultimi anni, con cifre che si aggirano intorno ai 300 milioni di dollari. Dall’altro lato, i profondi legami diplomatici e culturali della Spagna con l’America Latina e la profonda capacità di incidere sui famigerati “latinos” della propaganda di Trump, concedono al governo iberico un utile marcia in più rispetto agli altri governi europei, sempre meno aperti verso il mondo del Sud America.
Le opposizioni a Madrid hanno chiesto delucidazioni sulla lunga telefonata tra i due leader. La nota della Moncloa, che parla di solida alleanza fra i due Paesi e lotta al terrorismo (la Spagna ha importanti basi Nato sul suo territorio ed è impegnata nell’addestramento dell’esercito iracheno), non ha diradato i dubbi di chi considera, specie tra i socialisti, estremamente sintetica la nota rispetto alla lunghezza del dialogo fra i due leader. Resta però il dato che se la Spagna diventasse effettivamente la testa di ponte fra Washington e Bruxelles, il governo Rajoy avrebbe ottenuto un primo grande successo diplomatico, cioè quello di tornare a contare qualcosa in seno all’Ue e alla Nato dopo anni di oblio dettato da incertezze politiche e crisi economica. Mentre il resto del mondo sembra ancora stordito dall’elezione del nuovo presidente americano e ancora indeciso su come comportarsi, la scaltrezza, questa volta, ha giocato a favore di Madrid ed ha teso un grande aiuto ai sostenitori del pur timido Rajoy.
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