Stretto di Messina Spa non è stata ancora liquidata, costa 2 milioni l’anno e chiede un maxi-rimborso allo Stato per i lavori mai realizzati
Di Luca Zorloni
La costruzione del ponte sullo stretto di Messina non è mai partita, eppure la società che doveva coordinare i lavori dal 2013 non è ancora stata chiusa, nel 2015 è costata circa 1,8 milioni di euro e reclama più di 300 milioni di indennizzo per il naufragio del progetto. La saga della colossale infrastruttura, che avrebbe dovuto collegare la Sicilia alla penisola, continua a pesare sulle casse pubbliche. Non solo per via degli strascichi giudiziari del contenzioso con Eurolink, la società che si era aggiudicata la gara, ma anche per via dei costi legati alla sopravvivenza di Stretto di Messina, ossia la Spa concessionaria dell’infrastruttura.
Stretto di Messina è in liquidazione dal 15 aprile 2013, dopo lo stop definitivo alla costruzione del ponte. Il commissario scelto avrebbe dovuto “concludere le operazioni entro, e non oltre, un anno dalla nomina”, scrive la Corte dei conti nel suo rapporto sull’andamento della società, quindi “il termine per la liquidazione è ampiamente scaduto”. E mantenere in vita la società costa, sebbene dal 2014 non abbia più dipendenti propri: a bordo è rimasto solo il commissario liquidatore, Vincenzo Fortunato, che l’anno scorso si è avvalso di sette persone in distacco da altri enti statali. Nel 2015 Stretto di Messina Spa ha speso 1,85 milioni di euro. Ma “l’onere annuo – osservano i magistrati contabili – risulta ancora rilevante”. Nel 2014 sono stati versati 916mila euro in più.
Perché in quasi quattro anni di tempo Fortunato non è riuscito a chiudere la Spa? La linea di difesa della concessionaria, riportano i giudici contabili, è che “sarebbe possibile nell’ipotesi di sostituzione di tutti gli azionisti alla società, con conseguente accollo delle obbligazioni di Stretto di Messina” e “sarebbe, inoltre, necessario che tutti i creditori accettino il predetto accollo”. La Spa è sotto il controllo di Anas, l’ente nazionale per le strade, che ha l’81,8% del capitale sociale. Altri azionisti sono Rete ferroviaria italiana, con il 13%, e le Regioni Sicilia e Calabria, entrambe con il 2,5% delle quote.
Per il commissario liquidatore, quindi, Anas e gli altri dovrebbero mettere nero su bianco l’impegno a farsi carico dei rimborsi ai creditori che bussano alla porta di Stretto di Messina. Ma la Corte dei conti rileva che non serve, perché è il diritto societario stesso a imporre che i soci di una compagnia liquidata rispondano degli obblighi di quest’ultima. Perciò non ci sono ostacoli alla chiusura della Spa. Però neanche dal governo sono arrivati diktat a tirare giù la saracinesca. “Seppur sollecitati dalla Corte ad esprimere una valutazione sulla mancata liquidazione della società nei tempi previsti dalla normativa – scrivono i giudici contabili – la Presidenza del Consiglio, il Ministero delle infrastruttura e il Ministero dell’economia non si sono pronunciati”.
I problemi della Stretto di Messina non si limitano sollo alla sua liquidazione. Dal 2014 la Spa pretende un indennizzo dallo Stato, a causa della caduta della concessione sul ponte. Per la presidenza del Consigliobastano gli aumenti di capitale a soddisfare le richieste dalla Spa, mentre quest’ultima rivendica 325,7 milioni di euro, più un eventuale risarcimento.
Il paradosso è che Stretto di Messina chiede soldi anche al ministero dell’Economia, che altri non è che il socio al 100% di Anas. Ossia l’azionista di maggioranza della stessa Stretto di Messina Spa. Quindi la compagnia del ponte richiede a un ministero 325 milioni di euro, che poi dovrebbe liquidare per la maggior parte al suo principale azionista, controllato dal medesimo ministero. Per la Corte dei conti “tale contrasto tra l’ente strumentale [Stretto di Messina Spa, ndr] e l’amministrazione statale risulta contrario ai principi di proporzionalità, razionalità e buon andamento dell’agire amministrativo”. “Si impongono iniziative volte a rendere più celere la liquidazione della concessionaria”, raccomandano i magistrati contabili.
A marzo del 2006 l’allora governo Berlusconi firma il contratto per costruire il ponte sullo stretto di Messina, ma solo due mesi dopo, l’esecutivo Prodi fa un passo indietro. Nel 2008, quando il Cavaliere torna a Palazzo Chigi, il progetto riprende quota. È il governo Monti, poco prima delle sue dimissioni nel 2012, ad archiviare la colossale infrastruttura. Allora dispone, ricorda la Corte, “un indennizzo costituito dal pagamento delle prestazioni progettuali e di un’ulteriore somma pari al 10% di esse”. Eurolink, il consorzio che vince la gara per un ponte da 6,3 miliardi, apre un contenzioso. A queste rivendicazioni presta il fianco la modifica di alcune condizioni del contratto del 2006, scritte nel 2009. A firma di chi? Stretto di Messina Spa.
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