Di Savino Balzano
Ciò di cui scriviamo è un evento dalla gigantesca portata storica per il nostro paese. Ci troviamo dinanzi a un licenziamento collettivo, quello dei dipendenti della sede di Roma di Almaviva Contact, che riguarda oltre milleseicento lavoratori. Il fenomeno ha una dimensione sociale difficile da descrivere: ogni lavoratore rappresenta una realtà familiare e umana che viene inevitabilmente sconvolta profondamente. Mettiamo che, per fare un conto semplice, ogni lavoratore riferisca a un nucleo familiare composto da tre persone: sarebbero quasi cinquemila gli esseri umani coinvolti. È doveroso chiedersi che cosa possa voler dire vivere quanto questa gente stia vivendo: provare anche solo lontanamente, perché averne piena consapevolezza pare davvero complicato, a immaginare cosa possa voler dire perdere il proprio lavoro, la fonte del proprio reddito, del proprio sostentamento, della propria dignità e libertà . Un vecchio Presidente una volta pose una domanda che è rimasta nella memoria di molti italiani:
«Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io»
Noi c’eravamo ieri sera a Testaccio, presso la Città dell’Altra Economia dove si è tenuta un’assemblea che si poneva sostanzialmente da un lato l’obiettivo di fornire assistenza e informazioni utili ai lavoratori interessati dal licenziamento, dall’altro quello di valutare soluzioni politiche volte alla risoluzione della vertenza e a evitare che ulteriori simili scenari possano aprirsi in futuro. Quando ti succede qualcosa di brutto, di tragico, vieni come risucchiato da una spirale di surreale costernazione e continui a chiederti se quello che stai vivendo sia vero o no: intimamente non riesci a non nutrire la speranza di svegliarti nel tuo letto e di sospirare al pensiero che si sia trattato solo di un brutto sogno. Ma non è così per i lavoratori romani di Almaviva: è tutto vero, tragicamente reale e, alla domanda di una lavoratrice che chiedeva ai relatori se il provvedimento di licenziamento fosse da considerarsi definitivo oppure no, non si è potuto rispondere diversamente, con una ferma e coraggiosa tenerezza che traspariva dagli occhi.
L’Avvocato Ernesto Maria Cirillo, intervenuto in assemblea, si è detto disponibile, insieme ad altri colleghi, a difendere i lavoratori con compensi assai contenuti e ha evidenziato come vi siano margini per rivendicare il diritto al reintegro e agli indennizzi previsti dalla legge. Un altro aspetto tuttavia appare persino di maggiore rilevanza ed è l’ipotesi di procedere con una causa per interposizione fittizia di manodopera. Si è evidenziato come un consolidato orientamento giurisprudenziale, relativamente a lavori svolti in ambito di funzioni appaltate, sottolinei che il lavoratore, nel caso in cui presti la sua opera avvalendosi di strumenti (hardware o software) del committente o sia tenuto ad ottemperare a direttive di organizzazione interna che – direttamente o indirettamente – arrivino dal committente, possa accampare il diritto di essere da questi assunto. Insomma, quanto si vuole in generale evitare è il ricorso a società fittizie che permettano al committente di sgravarsi del rischio economico di impresa e di avvalersi al contempo dei vantaggi eticamente discutibili derivanti dalle cosiddette gare al massimo ribasso.
L’azienda in passato ha goduto di aiuti economici per investire sul territorio e tali aiuti sono derivati anche da accordi sindacali che prevedevano una riduzione notevole dello stipendio dei lavoratori perché il sistema si mantenesse in piedi. Eppure l’epilogo resta assai triste. Guardando i servizi giornalistici in TV non ci si rende conto di come dietro a questi licenziamenti ci sia la storia di tanta brava gente che cerca di andare avanti. Dalle loro parole, ascoltate a margine dell’assemblea, trapela un’amarezza inconsolabile: ci sono tanti giovani genitori e alcuni con bambini portatori di handicap; ragazzi appena sposati che stanno cercando di mettere su famiglia; giovani che col lavoro si mantengono gli studi; uomini e donne di oltre cinquant’anni che temono ragionevolmente di trovare difficoltà nel reinventarsi nel mondo della finta flexicurity ideata da una politica irresponsabile.
C’è un forte imbarazzo da parte dei lavoratori a parlare dei sindacati. Abbiamo provato a chiedere loro se in sala ci fossero dirigenti e quadri sindacali, ma nessuno ha saputo indicarcene e molti ci hanno detto che non ve ne fosse presente alcuno. Sono in tanti a nutrire un profondo rancore nei confronti delle organizzazioni sindacali coinvolte nella trattativa andata male. Eppure non manca chi riconosca il fatto che al sindacato fosse stato dato mandato di non scendere a patti con l’azienda relativamente alla politica salariale e al controllo a distanza. Non si riesce bene a capire dove sia la verità , ma una cosa è certa: ad un certo punto sembra essersi creata una frattura nella gestione della trattativa tra Napoli e Roma e quando le RSU capitoline hanno deciso di seguire l’orientamento assunto da quelle partenopee era ormai troppo tardi, dal momento che l’azienda aveva avviato la pratica di licenziamento collettivo. È arduo esprimere un giudizio sul punto, soprattutto perché le richieste aziendali apparivano davvero difficili da accettare: si tenga presente che i lavoratori avevano abbondantemente già manifestato in passato senso di responsabilità procedendo ad una notevole riduzione dei salari e che importanti deroghe all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori in materia di controllo a distanza avrebbero notevolmente inciso sulla serenità e la dignità nella prestazione lavorativa.
Ad ogni modo, ciò che davvero ha sorpreso, nel prendere parte all’assemblea, è stato registrare tutta una serie di assenze: la prima è sicuramente quella del mondo sindacale, che in una fase di questo tipo – al netto delle numerosissime critiche rivoltegli – non può esimersi dal ruolo di rappresentanza e assistenza dei lavoratori; la seconda è quella del mondo dell’informazione che, da quanto abbiamo avuto modo di appurare, era completamente assente (fatta eccezione per la nostra testata); la terza e sicuramente più importante è quella del mondo politico. Abbiamo avuto modo di confrontarci sul merito con Lidia Undiemi, che ha partecipato all’assemblea con un intervento chiaro e netto relativo alle possibili soluzioni politiche al tema in analisi.
La studiosa evidenzia in primo luogo il fatto che la questione Almaviva sia soltanto il triste epilogo di un processo annoso, nel quale le responsabilità sono multiple e decisamente pesanti. Il sindacato, in primo luogo, ha il dovere di raccogliere finalmente una sfida che ha dinanzi a sé da tempo: la trasformazione del mondo del lavoro, con il ricorso a strumenti comunicativi altamente tecnologici e con il ricorso sempre più ricorrente a delocalizzazioni e appalti, necessita che anche i canali di rappresentanza si rinnovino. È impensabile condurre processi concertativi, contrattuali o di lotta sindacale, facendo ricorso ai vecchi strumenti di fabbrica: il sindacato deve saper raccogliere la sfida o sarà superato e rinnegato dagli stessi lavoratori. La Undiemi, tuttavia, sotto vari punti di vista ha tenuto ad evidenziarci il fatto che il problema resti ad ogni modo principalmente di natura politica. Che sia in corso una feroce lotta di classe, per così dire, tra mondo del lavoro e mondo del capitale appare di tutta evidenza e spetterebbe alla politica stessa la gestione di questo delicato equilibrio nella salvaguardia ponderata degli interessi in campo. La politica resta invece indifferente al tema e pare preoccuparsi solo di sé stessa, laddove ogni partito sia esclusivamente intenzionato ad attaccare gli altri e a difendersi a sua volta. Non esisterebbe, e su questo concordiamo ovviamente con lei, un soggetto politico di sinistra in grado di rappresentare gli interessi delle masse e del lavoro e il fatto che molti lavoratori si rivolgano a lei, piuttosto che a un partito o a una organizzazione di categoria, per la tutela dei propri diritti altro non sarebbe che l’evidente manifestazione patologica della realtà insana nella quale versi la politica del paese. Mentre il PD, poi, ha ampiamente dimostrato di non essere un partito di sinistra, il Movimento di Grillo sembra non aver ancora superato il banco di prova, dal momento che non sarebbe ancora stato in grado di operare un ruolo determinante in materia di tutela dei più deboli sui luoghi di lavoro.
«Il momento di crisi, poi, fa sì che la maggior parte delle persone sia in cerca di una via d’uscita individuale, perdendo così di vista la complessità dei beni in ballo. Inoltre, la continua rincorsa alle competizioni elettoralei sollecita i partiti politici a tralasciare una seria analisi politica ed economica del momento per fare spazio a facili slogan e frasi ad effetto». (Lidia Undiemi in Il ricatto dei mercati)
Mentre la politica dorme, mentre la politica si preoccupa solo della sua salvaguardia e della sua sopravvivenza sistemica in contrapposizione ai reali interessi della gente, un cancro si diffonde nel paese,le cui metastasi sono il dumping sociale, la concorrenza al ribasso, la lotta tra poveri, l’occupato che si sente un privilegiato, i lavoratori ricattabili e licenziabili indiscriminatamente, i lavoratori controllati e umiliati, le delocalizzazioni, lo svilimento dello stato sociale. E appare quasi una beffa, la più triste delle beffe, leggere sul sito di Almaviva Contact, cosa l’azienda intenda per responsabilità sociale.
FONTE: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/almaviva-una-tragedia-nel-silenzio-della-politica/«In particolare: considerare i propri dipendenti come una risorsa strategica, nel rispetto dei loro diritti».
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