In un recente articolo il Guardian ha raccontato la diffusione di WhatsApp, la popolare app di messaggistica istantanea, negli ambienti diplomatici europei e mondiali. Molti degli utenti di WhatsApp lo usano soprattutto in contesti informali come il proprio gruppo di amici o i membri della famiglia allargata, ma sempre più persone lo utilizzano anche per lavoro (anche il Post usa una chat di WhatsApp, di rincalzo a quella “ufficiale” su Slack). Ad oggi, come spiega ilGuardian, anche le persone che per lavoro si occupano di decidere i destini del mondo usano la stessa app di vostro figlio 13enne o di vostra zia.
I motivi della popolarità di WhatsApp fra i diplomatici e i funzionari governativi sono vari e comprensibili: su tutti la segretezza e riservatezza delle comunicazioni che avvengono sull’app, che da qualche mese ha aumentato il criptaggio delle conversazioni (al momento, se si usa l’ultima versione, nemmeno WhatsApp stesso può avere accesso alle conversazioni che avvengono fra due o più utenti). Jon Alterman, un ex funzionario del dipartimento di Stato americano, ha spiegato che al momento «è più sicuro mandare un messaggio tramite WhatsApp che con la maggior parte dei sistemi di comunicazione governativi». Poi ci sono motivi più pratici: come ad esempio il fatto che molte persone usano già WhatsApp per conversazioni private e slegate dal lavoro, o più semplicemente perché molte riunioni fra diplomatici si tengono in stanze isolate o addirittura sotto il livello del suolo, dove le reti di telefonia mobile non arrivano (ma dove spesso è disponibile una rete Wi-Fi).
I casi di diplomatici che usano WhatsApp sono ormai numerosi: WhatsApp è ormai diffuso sia nella sede principale dell’ONU sia dell’Unione Europea, e un recente report interno del ministero degli Esteri britannico ha scoperto che diversi diplomatici del paese usano WhatsApp per discutere di temi di lavoro (ad esempio, esiste un gruppo di WhatsApp per i diplomatici britannici che si occupano di Siria). Di recente, WhatsApp è stato largamente utilizzato per organizzare riunioni, discutere strategie e fare proposte durante i negoziati mondiali tenuti in Ruanda per ridurre progressivamente l’emissione dei Fluorocarburi – dei potenti gas serra – nell’ottobre 2016. Tom Fletcher, ambasciatore del Regno Unito in Libano fra il 2011 e il 2015, ha raccontato al Guardian:
«Gran parte delle mie comunicazioni giornaliere con i leader libanesi si svolgeva lì [su WhatsApp]. È ovvio che il rapporto di fiducia personale che si costruisce faccia a faccia non può essere sostituito: ma un’enorme porzione del lavoro diplomatico può essere gestita in questo modo, e ogni ambasciatore che non è in grado di contattare su WhatsApp dei ministri chiave presto rimarrà tagliato fuori»
Nel lavoro diplomatico, WhatsApp può anche essere utilizzato per alleggerire i toni, come in un vero negoziato faccia a faccia – pubblicando ad esempio la foto di un collega che si è addormentato durante una riunione – o ancora essere sfruttato in maniera creativa. Come spiega il Guardian le varie emoji delle bandiere nazionali, per esempio, sono perfette per le conversazioni di politica, così come quelle che raffigurano una stretta di mano o una colomba (che nel gergo politico indica una persona dalle convinzioni moderate). Il Guardian scrive anche che in queste conversazioni il presidente russo Vladimir Putin viene spesso raffigurato con l’emoji di un alieno, probabilmente per la somiglianza dei tratti del volto .
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