Jeremy Rifkin
La Civiltà dell’Empatia
La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi
Mondadori, Milano 2009
Di Luigi Anepeta
L’urgenza di costruire una visione integrata dell’uomo e della sua storia – una pan-antropologia, dunque, utilizzando i dati forniti da molteplici discipline – evoluzionismo, genetica, neurobiologia, psicologia, psicoanalisi, storia, sociologia, economia, politica, ecc. -, non è mai stata viva come oggi.
Ritengo che questo dipenda da due fattori correlati tra loro: per un verso, dalla crisi nella quale versa la civiltà occidentale, i cui valori fondanti – storicamente riconducibili al Cristianesimo, al Liberalismo e al Socialismo – appaiono sempre più scollati e astratti rispetto ad una realtà sociale atomizzata, anomica, liquida (nell’accezione di Bauman); per un altro, dal fallimento del pensiero debole o più in generale post-modernista, che non è riuscito minimamente ad incidere sulla coscienza sociale, la quale appare sempre più orientata verso il recupero di tradizioni e valori etnocentici, compresi i rischi di rigurgiti sciovinisti e razzisti che ciò comporta.
L’urgenza è comprovata dal fatto che, in tutto l’arco delle scienze umani e sociali e della stessa filosofia, molteplici autori, partendo da una competenza riferita ad un determinato ambito, allargano il loro sguardo nel tentativo di includere tutti gli altri. Dato che tentativi del genere sono stati portati avanti, negli ultimi anni, fa genetisti, biologi evoluzionisti, psicologi, psicoanalisti, sociologi, filosofi, ecc., c’è da pensare che essi corrispondano, più che a forme di imperialismo disciplinare o semplicemente di narcisismo, ad una sorta di “compulsione” intellettuale, destinata, un giorno o l’altro, ad esitare in uno sforzo autenticamente interdisciplinare, reso per ora difficile o impossibile dalla diversità dei linguaggi tecnici. Il rischio dei tentativi che vengono posti in essere è, ovviamente, che i dati non appartenenti all’ambito di competenza dell’autore vengano utilizzati “disinvoltamente”, vale a dire in maniera impropria o imprecisa.
È un rischio da correre, ma, nella misura in cui il pericolo ch’esso comporta si realizza, è giusto segnalarlo, senza che ciò significhi sminuire il valore di un’opera.
Ne La civiltà dell’empatia di Rifkin tale pericolo, in una certa misura, si realizza, ma associato ad una tale densità di pensiero e passione da meritare ammirazione. Questa recensione non è dunque una “stroncatura”, bensì il tentativo di definire criticamente un concetto essenziale ai fini della costruzione di un modello pan-antropologico – quello, appunto, di empatia.
Jeremy Rifkin, sociologo ed economista, appartiene, con Jacques Attali, alla schiera dei tecnocrati illuminati, vale a dire degli studiosi che valorizzano al massimo grado lo sviluppo della tecnologia identificando in esso il motore della storia umana e, benché siano consapevoli dell’ambivalenza intrinseca in essa (alienazione/umanizzazione), nondimeno vi si appellano per preconizzare un futuro “ottimistico”.
In maniera complementare ad Attali, che in Breve storia del futuro prevede l’avvento di una iperdemocrazia portata avanti da imprenditori relazionali interessati al bene comune più che alle ragioni di mercato, Rifkin che, in opere precedenti (La fine del lavoro, Il sogno europeo), ha sempre valorizzato l’economia sociale fondata sugli scambi relazionali più che mercantili, vede all’orizzonte la possibilità di una terza rivoluzione industriale, destinata a portare l’umanità fuori dalla sua “preistoria”. Egli insomma pone un nesso di continuità tra il passato e il futuro, e ritiene che i segni del trapasso siano già del tutto evidenti.
Tra questi segni il più importante è il recupero della socialità empatica che il liberismo ha mortificato e negato. Egli ritiene, però, sia pure implicitamente, che quella negazione era necessaria per arrivare al punto che l’individuo sviluppato e differenziato percepisse l’unicità e la caducità dell’esistenza, la sua solitudine esistenziale, la sua infelicità: sentimenti, questi, che promuovono e riabilitano l’empatia e il bisogno di legami sociali significativi.
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Purtroppo, per arrivare a questo livello di sviluppo, l’’umanità ha dovuto utilizzare e saccheggiare le risorse energetiche del pianeta, sicché la Civiltà dell’empatia, che secondo Rifkin si profila all’orizzonte, si trova sull’orlo di un baratro ecologico.
Questo paradosso è il tema centrale del saggio e viene esplicitato chiaramente nell’introduzione:
Questo libro presenta una nuova interpretazione della storia della civiltà alla luce dell’evoluzione empatica della razza umana e della sua profonda influenza sullo sviluppo e, probabilmente, sul futuro della nostra specie.
Dalle ricerche scientifiche in ambito biologico e cognitivo sta emergendo una visione radicalmente nuova della natura umana che suscita controversie non solo nei circoli intellettuali, ma anche nella comunità economica e politica. Recenti scoperte nel campo della neurologia e delle scienze dell’età evolutiva, infatti, ci costringono a rivedere l’inveterata convinzione che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi e dominati dall’interesse personale. La graduale presa di coscienza del fatto che siamo membri di una specie profondamente empatica ha ampie ricadute sulla società.
Questa nuova interpretazione della natura umana apre la porta a un’avventura assolutamente medita. Le pagine che seguono ricostruiscono l’affascinante storia dello sviluppo dell’empatia nell’uomo, dal nostro antico passato mitologico all’ascesa delle grandi civiltà teologiche, all’era ideologica che ha dominato il Settecento e l’Ottocento, all’era psicologica che ha caratterizzato gran parte del Novecento, fino al drammatico inizio del ventunesimo secolo.
Osservare la storia economica attraverso la lente dell’empatia ci permette di scoprire alcuni fili della vicenda umana finora nascosti. Il risultato è un nuovo arazzo sociale – la «civiltà dell’empatia» – tessuto a partire da varie discipline: dalla letteratura alle arti, dalla teologia alla filosofia, dall’antropologia alla sociologia, dalle scienze politiche alla psicologia, alla teoria della comunicazione.
Al centro della storia umana c’è la paradossale relazione che intercorre fra empatia ed entropia. Nel corso dei secoli, la convergenza di nuovi regimi energetici e di nuove rivoluzioni nel campo delle comunicazioni ha creato società sempre più complesse. Le civiltà tecnologicamente più avanzate hanno mescolato popoli diversi, aumentando la sensibilità empatica e facendo espandere la coscienza umana. Ma questa crescente complessità ha comportato un enorme impiego di risorse naturali, che ora rischiano di esaurirsi.
Dalle ricerche scientifiche in ambito biologico e cognitivo sta emergendo una visione radicalmente nuova della natura umana che suscita controversie non solo nei circoli intellettuali, ma anche nella comunità economica e politica. Recenti scoperte nel campo della neurologia e delle scienze dell’età evolutiva, infatti, ci costringono a rivedere l’inveterata convinzione che gli esseri umani siano per natura aggressivi, materialisti, utilitaristi e dominati dall’interesse personale. La graduale presa di coscienza del fatto che siamo membri di una specie profondamente empatica ha ampie ricadute sulla società.
Questa nuova interpretazione della natura umana apre la porta a un’avventura assolutamente medita. Le pagine che seguono ricostruiscono l’affascinante storia dello sviluppo dell’empatia nell’uomo, dal nostro antico passato mitologico all’ascesa delle grandi civiltà teologiche, all’era ideologica che ha dominato il Settecento e l’Ottocento, all’era psicologica che ha caratterizzato gran parte del Novecento, fino al drammatico inizio del ventunesimo secolo.
Osservare la storia economica attraverso la lente dell’empatia ci permette di scoprire alcuni fili della vicenda umana finora nascosti. Il risultato è un nuovo arazzo sociale – la «civiltà dell’empatia» – tessuto a partire da varie discipline: dalla letteratura alle arti, dalla teologia alla filosofia, dall’antropologia alla sociologia, dalle scienze politiche alla psicologia, alla teoria della comunicazione.
Al centro della storia umana c’è la paradossale relazione che intercorre fra empatia ed entropia. Nel corso dei secoli, la convergenza di nuovi regimi energetici e di nuove rivoluzioni nel campo delle comunicazioni ha creato società sempre più complesse. Le civiltà tecnologicamente più avanzate hanno mescolato popoli diversi, aumentando la sensibilità empatica e facendo espandere la coscienza umana. Ma questa crescente complessità ha comportato un enorme impiego di risorse naturali, che ora rischiano di esaurirsi.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.nilalienum.it/Sezioni/Bibliografia/Politologia/RifkinCE.html
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