Di Rolla Scolari
www.lastampa.it
Dall’Egitto è arrivata una dura condanna alla chiusura di cinque moschee non autorizzate a Roma. Dopo la preghiera di centinaia di musulmani venerdì davanti al Colosseo, in protesta contro la misura riguardante i luoghi di culto irregolari, a prendere posizione è una delle più importanti istituzioni religiose egiziane, legata direttamente al governo del Cairo: Dar al-Ifta.
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Dall’Egitto è arrivata una dura condanna alla chiusura di cinque moschee non autorizzate a Roma. Dopo la preghiera di centinaia di musulmani venerdì davanti al Colosseo, in protesta contro la misura riguardante i luoghi di culto irregolari, a prendere posizione è una delle più importanti istituzioni religiose egiziane, legata direttamente al governo del Cairo: Dar al-Ifta.
Il suo Osservatorio contro l’Islamofobia ha denunciato la mossa delle autorità italiane e parlato della possibilità che la chiusura di moschee possa fomentare i radicalismi e fornire agli estremisti giustificazioni per atti criminali. La dichiarazione stupisce per diversi motivi. In primo luogo, perché Dar al-Ifta, istituzione religiosa incaricata di questioni legali e dell’emissione di pareri di diritto islamico - fatwe - è un organo governativo.
RAPPORTI TESI
La denuncia nei confronti di una decisione presa dalle autorità italiane arriva quindi direttamente da un’istituzione legata al governo del Cairo, in un momento in cui rapporti con l’Italia sono caratterizzati da importanti tensioni. «Una collaborazione assolutamente inadeguata», ha detto ad aprile il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, descrivendo l’impegno egiziano sul caso Regeni, il giovane ricercatore italiano trovato morto con segni di evidente tortura sul corpo nel febbraio 2015, al Cairo.
A luglio, in seguito alla decisione del Parlamento di fermare la fornitura all’Egitto di pezzi di ricambio per i caccia F16, il Cairo ha parlato di «impatti negativi in tutti i campi della cooperazione tra i due Paesi: sul piano bilaterale, regionale e internazionale».
Stupisce anche il fatto che a condannare la chiusura di moschee abusive secondo la legge italiana sia un’istituzione che, in Egitto, negli ultimi tre anni è stata parte di una campagna governativa mirata ad arginare gli estremismi aumentando la stretta contro luoghi di culto e predicatori non ufficiali. Il testo pubblicato sull’account Facebook dell’Osservatorio non specifica che obiettivo del provvedimento italiano sono moschee irregolari.
12 MILA IMAM SOSPESI
Nel 2013, poco dopo l’ascesa del presidente Abdel Fattah al-Sisi, in Egitto il ministero dei Beni religiosi ha imposto la chiusura di tutte le moschee di superficie inferiore agli 80 metri quadrati: ricadevano nella categoria oltre 27mila sale di preghiera, spesso luoghi di culto improvvisati e difficili da controllare per le autorità locali. Nel giugno 2014, oltre 12 mila imam considerati non ufficiali sono stati sospesi.
Durante l’intero 2016, è andata avanti in Egitto la polemica sull’imposizione da parte del governo di sermoni pre-scritti da un comitato scelto di esperti, cui però si è opposta al-Azhar, una delle maggiori istituzioni religiose dell’islam sunnita, il cui grande imam è comunque nominato dal presidente egiziano.
«La dichiarazione dell’Osservatorio suona strana - spiega Wael Farouq, studioso egiziano e docente all’università Cattolica di Milano e all’American University del Cairo - perché sia Dar al-Ifta sia al-Azhar hanno sempre chiesto a tutti i musulmani di avere uno status legale riconosciuto all’estero, ufficiale, e le moschee chiuse in Italia erano considerate irregolari: chiuderle significa essere in armonia con quello che hanno sempre detto dal Cairo e anche con la linea tenuta in questi mesi in Egitto».
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