Di Marta Musso
Supponiamo ci sia un pallone nascosto sotto il tavolo di una stanza. E due persone, fuori dalla stanza, a conoscenza della posizione del pallone. All’insaputa dell’altro, uno dei due entra nella stanza e porta via con sé la sfera. Poi entra l’altro, sempre ignaro dello spostamento: dove andrà a cercarla? Ovviamente sotto il tavolo (restando con un pugno di mosche in mano): se siamo in grado di prevedere con tanta naturalezza tale comportamento è in virtù della cosiddetta teoria della mente (Tom, acronimo di Theory of Mind), ovvero “la capacità di intuire gli stati mentali propri e altrui, i pensieri, le credenze, i ragionamenti sulla base dell’osservazione del contesto e dell’interferenza di significato”. Se finora la comunità scientifica era convinta, piuttosto unanimemente, che tale capacità fosse propria solo degli esseri umani, è probabilmente arrivato il momento di ricredersi: stando a uno studio condotto da un’équipe di ricercatori delMax Planck Institute for Evolutionary Anthropology e pubblicato suScience, infatti, anche le grandi scimmie (scimpanzè, bonobo e oranghi) riuscirebbero a prevedere correttamente, basandosi sulla sola osservazione, pensieri, desideri e interazioni altrui.
In verità, già diversi esperimenti comportamentali condotti in passato avevano evidenziato che le scimmie fossero in qualche modo in grado di prevedere il comportamento degli altri non semplicemente sulla base di stimoli esterni, ma anche dalla comprensione di percezioni e conoscenze.
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