Di Ilaria Bifarini
Pensavamo di averla scampata, grazie agli agguerriti manifestanti –per lo più francesi e tedeschi, da noi le proteste pubbliche non vanno più di moda – e a qualche politico ancora avveduto. E invece no, ci sbagliavamo: il famigerato TTIP, il trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico tra Europa e Stati Uniti, esce dalla porta e rientra dalla finestra. Anzi, dal portone! Già perché con l’imminente approvazione del CETA, l’Accordo economico e commerciale globale tra UE e Canada, tutte si materializzeranno quelle distorsioni di una globalizzazione dissennata che abbiamo sempre scongiurato. Con un astuto stratagemma per aggirare il processo di ratifica, il Consiglio UE voterà il 17 e 18 ottobre la sua applicazione provvisoria ma a tempo indeterminato.
Come il TTIP, il gemello canadese si spaccia per un Trattato di libero scambio, ma l’obiettivo di liberalizzare gli scambi suona quantomeno anacronistico tra Paesi le cui economie sono già così interconnesse che il livello medio dei dazi non supera il 3%. E’ curioso notare come gran parte delle multinazionali americane abbiano la loro sede proprio in Canada: circa 40 mila, tra cui la Coca Cola e Wal Mart solo per rendere l’idea! Con l’adozione del CETA verrà stravolto l’attuale assetto dell’organizzazione collettiva: le decisioni prese dall’UE e dai singoli Stati dovranno essere tali da non creare in alcun modo una presunta barriera commerciale col Canada, che possa in alcun modo limitarne il mercato. Gli investitori canadesi nell’UE potranno infatti citare in giudizio lo Stato in caso di leggi potenzialmente lesive dei loro interessi. Come voleva il TTIP, viene svilito il principio di precauzione, grande vessillo della tutela della salute dei cittadini, che permette di ricorrere a misure cautelative per salvaguardare la salute umana e l’ambiente. Grazie a questa norma, inclusa nei trattati europei, è stato ad esempio possibile evitare la massiccia importazione dei cibi geneticamente modificati, di cui, guarda caso, il Canada risulta uno dei più grandi produttori su scala globale.
Come se non bastasse, per completare il processo di distruzione di quel che rimane di umano,vengono ulteriormente spalancati gli spazi per l’intervento privato nei servizi pubblici. Il CETA sarà infatti il primo accordo siglato dall’Unione Europea che in tema di liberalizzazione dei servizi stabilisce una “lista negativa” anziché una “lista positiva”, attraverso la quale saranno elencati in modo tassativo quali servizi possono rimanere di competenza statale. E speriamo che verrà stilata con accuratezza e senza distrazione, perché tutti gli altri saranno privatizzati e lasciati alla longa manus del libero mercato, compresi quelli che nasceranno successivamente al Trattato!
Uno scenario apocalittico, che nei prossimi giorni si materializzerà all’insaputa dell’opinione pubblica, ormai rassicurata dalla decisione di rinviare il TTIP. Eppure, proprio chi dovrebbe essere ragguagliato e tutelare i nostri interessi, si dice favorevole a far entrare col cavallo di Troia canadese l’assalto definitivo alla sopravvivenza non solo dell’economia nazionale, ma del nostro bagaglio culturale, di cui il settore enogastronomico è da sempre un vanto mondiale. Dopo essersi mostrato tra i più entusiasti sostenitori del fallito TTIP, il ministro dell’economia Calenda è tra i fautori dell’approvazione del CETA. Per privare definitivamente un Paese della propria indipendenza non basta togliergli la sovranità monetaria, occorre minare la sua identità, asservire il cittadino alle leggi universali del profitto e del mercato globale, portandolo a sacrificare se stesso e la propria salute, meglio se con ingenua e distratta inconsapevolezza.
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