Il Mahatma Gandhi come Cecil Rhodes: le loro statue non sono degne di rimanere in un campus universitario africano perché entrambi erano razzisti che consideravano gli africani come persone di livello inferiore. Se la campagna contro le statue di Cecil Rhodes, che ha acceso gli atenei sudafricani nel 2015, è nota, quella contro Gandhi in Ghana è appena partita, ma sembra lentamente infiammarsi. Una petizione firmata da più di mille studenti e insegnanti chiedono che la statua, dono del presidente indiano Pranab Mukherjee in visita ad Accra a giugno, venga rimossa dal campus. Su Twitter spopola l’hashtag #GandhiMustComeDown.
Perché tanto astio contro Gandhi, politico, avvocato e filosofo indiano che guidò l’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna e ispirò con la sua non violenza Nelson Mandela? Secondo i suoi detrattori, avrebbe avuto «un’identità razzista». Come esempio vengono citati alcuni suoi scritti nei quali il Mahatma, che visse a lungo in Sudafrica, descriveva gli africani come «selvaggi» o «kaffir», un’espressione denigratoria utilizzata dai bianchi sudafricani nei confronti dei neri. In una lettera, scritta al Parlamento del Natal nel 1893, Gandhi afferma che, secondo il comune sentire prevalente nella colonia «gli indiani sono un po’ meglio degli africani, se non del tutto dei selvaggi nativi dell’Africa».
Alle accuse ha risposto Rajmohan Gandhi, nipote del Mahatma e suo biografo, dicendo che suo nonno ha viaggiato in Africa da giovane e, senza dubbio, allora aveva pregiudizi nei confronti dei neri sudafricani. «Gandhi era un essere umano e, come tale, imperfetto – spiega il nipote -, nonostante ciò era più radicale e progressista della maggior parte dei sui compatrioti».Secondo Daniel Osei Tuffuor, un ex studente della University of Ghana, intervistato dalla Bbc: «i ghanesi dovrebbero essere fiduciosi in se stessi e cercare di esaltare i nostri eroi ed eroine. Non c’è nulla di pacifico sulle attività di Gandhi. Chi afferma di sostenere la pace e la tranquillità, ma promuove il razzismo è un ipocrita».
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