Di Bruno Ruffilli
«Il vero motivo per cui sono venuto a Roma è trovare dei Pokémon», ha detto il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg nell’incontro con gli studenti della Luiss.La domanda in realtà era più seria, e verteva sul successo dell’app Pokémon Go, che ha aperto a milioni di persone il mondo della realtà aumentata, dove digitale e reale si incontrano.
Zuckerberg ride, poi torna alla domanda di Alessio: «Se non sarà Pokémon Go, vedremo molte cosi simili in futuro, la realtà digitale aggiunta a quella reale. Ma tra cinque anni useremo tutti la realtà virtuale per comunicare, ti fa sentire come se fossi davvero accanto alle persone care». Zuckerberg parla di piattaforma social di grande importanza, spiega che ogni ogni 20-30 anni nella storia informatica arriva una grande rivoluzione, ma ci tiene anche a sottolineare che un like non sostituirà mai un vero sorriso. Lo fa rispondendo alla domanda di un altro studente («Non pensa che il social network ha cambiato e magari rovinato il modo in cui la gente comunica?»). No, dice l’uomo che ha portato su Facebook un abitante della Terra ogni quattro: «Se avessi pensato che roviniamo la comunicazione, avrei cambiato il prodotto. La maggior parte delle persone non usa Facebook come sostituto della comunicazione reale, nulla sostituisce la realtà ma Facebook dà la possibilità di comunicare a chi normalmente non lo farebbe».
Poco prima, a colazione col Primo ministro italiano, il 32enne Ceo aveva ricevuto in dono da Renzi il De Amicitia di Cicerone. Un modo per sottolineare che certi rapporti non sono nati con il social network, ma anche per rimarcare gli studi del giovane Zuckerberg. «A scuola ho provato con spagnolo e francese, ma il problema era la pronuncia, col latino non devi parlare, per questo mi piaceva».
L’atmosfera non è sempre così leggera, anzi si apre con una nota serissima: il terremoto. «Dacci un segno che stai facendo qualcosa per le persone che hanno perso tutto», gli chiedono: «Denaro, parole,qualsiasi cosa». Lui, che poco prima aveva incontrato anche il Papa e discusso di come i social network possono aiutare le persone, non si fa pregare: «Mi sono detto che avrei dovuto fare tutto quello che potevo per dare una mano. La cosa più importante è per noi il Safety check, che quando c’è un disastro serve per avvisare i nostri cari che siano salvi: in momenti così è tutto quello che davvero importa. Circa la metà degli italiani iscritti a Facebook e residenti nelle zone del terremoto lo hanno usato. Ma noi vogliamo fare di più, e abbiamo cominciato a lavorare con la Croce Rossa, donando mezzo milione di euro». Non dice che si tratta di spazi pubblicitari, ma a leggere tra le righe l’arcano si fa più chiaro: «In occasioni come questa c’è molta attenzione da parte dei media, ma per poco tempo: una buona organizzazione come la Croce Rossa sarà invece attenta ai bisogni della gente molto a lungo». Specie se a ricordarli ai membri di Facebook saranno appunto delle pubblicità. E aggiunge: «C’è una terza cosa di cui sono veramente orgoglioso. C’era un ristorante che per ogni piatto di pasta di amatriciana (si dice così?) donava un euro per la ricostruzione di Amatrice. 700 ristoranti hanno adottato questa iniziativa: è un esempio di come la comunità si è unita intorno a questo disastro, non solo in Italia ma in tutto il mondo. Ecco, questo credo sia il nostro compito, connettere le persone tra loro e con quello che a loro interessa».
A molti interessano le notizie, che si leggono sui social network quasi più che sui siti di informazione. Così la domanda di Davide, napoletano, pare assai opportuna: «Facebook diventerà un editore?». Zuckerberg, che pure ha concluso accordi con giornali e siti di tutto il mondo, nega: «No, siamo un’azienda tecnologica, non una media company. Produciamo strumenti e non contenuti. Una volta ognuno attingeva le notizie alla sua fonte preferita, ignorando le altre, ma con il Newsfeed di Facebook vediamo anche i contenuti dei nostri amici, che sono molto diversi da quello che sceglieremo noi, e questo apre la possibilità di discussioni e scambi di idee».
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