Di Alberto Lombardo
Il linguista genovese Giacomo Devoto scriveva: «la specie vegetale più importante dal punto di vista lessicale è, nella foresta, la quercia, *dereu».
Questo nome italiano deriva dal latino (arbor) quercea, aggettivo diquercus, che a sua volta si riconduce alla forma indoeuropea *perkwu, sopravvissuta nelle sole aree germanica (con la normale rotazione consonantica), baltica (nel nome del dio Perkùnas) e celtica (il nome dellasilva Hercynia latina ha infatti origine gallica).
Di là da *perkwu, esiste però un’altra radice fonetica, attestata in un numero più ampio di lingue e anche di maggiore rilevanza linguistica. Si tratta di *dereu, designante appunto la quercia, ma dalla quale sono derivati anche molti significati ulteriori (tra i quali quelli di ‘durezza’, ‘ghianda’, ‘lancia’ e soprattutto, in area germanica, ‘fedeltà’, come è nel caso del tedesco modernoTreue). Constatando questa ricchezza di significati Devoto sosteneva che la quercia sia, di tutte le specie forestali, quella che ha avuto la maggiore resistenza lessicale, ma che l’ampia diffusione sia andata a discapito della stabilità semantica, vale a dire della conservazione del significato originale, dando così vita a valori generici e nuovi.
L’importanza della quercia presso gli Indoeuropei ci è testimoniata, oltre che dai dati linguistici, anche e soprattutto dalla sua rilevante valenza simbolica e religiosa: questo albero è infatti quasi universalmente l’emblema della forza.
Oltre al già detto dio baltico Perkùnas, al quale la quercia era consacrata, essa in Grecia era sacra al padre degli dei Zeus e a Dodona, mentre tra i Germani lo era per Donar e Ziu (corrispondenti ai norreni Thor e Odino). La clava di Ercole è di quercia; nell’Odissea, Ulisse consulta due volte il “fogliame divino della grande quercia di Zeus”. Inoltre, secondo una credenza di tipo magico, un ramo di questo albero, posto presso una fonte in Arcadia, avrebbe combattuto la siccità.
Livio afferma che fosse sacra anche ai Romani: una conferma sul punto si può trarre dall’arcaico diritto pontificale, che si occupava anche di botanica sacra. Veranio, uno scrittore del I secolo a.C. autore, tra l’altro, delle Pontificales Quaestiones, la cita per prima nell’elenco degli arbores felices, cioè “recanti buoni auspici”. Come ha rilevato Renato del Ponte, non deve stupire il posto di rilievo occupato dalla quercia in questa “catalogazione” di ierobotanica, poiché essa, al pari della vite, era sacra al dio padre supremo dei Romani, Giove. Alfredo Cattabiani ha narrato proprio le simboliche nozze di quercia e vite in un suo racconto di una ventina di anni orsono, che si intitola, non a caso, La quercia.
È soprattutto presso i Celti, però, che si ravvisa in pieno il ruolo fondamentale attribuito alla quercia nella sfera sacrale. Nella sua Naturalis Historia Plinio afferma infatti che i sacerdoti druidi roborum eligunt lucos nec ulla sacra sine ea fronde conficiunt, «scelgono i boschi di querce e non celebrano alcun sacrificio senza quell’albero». Diversi studiosi sostengono inoltre che lo stesso nome dei druidi, membri della prima funzione sovrana nel mondo celtico, abbia tratto origine dalla già citata radice indoeuropea *dereu che designa la quercia – alla quale, effettivamente, i druidi sono ricollegati in diverse credenze, come in quella assai nota secondo la quale nelle notti di plenilunio avrebbero reciso dai grandi alberi il vischio, servendosi di un falcetto dorato.
Questo insieme di dati che le religioni, il mito e la leggenda ci offrono, insieme a molti altri che si potrebbero aggiungere al novero, conforta e spiega la sensazione di stupore e ammirazione che sempre si prova allorché ci si imbatte in questo maestoso albero sacro.
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