Facciamo un riepilogo, che a mettere in fila tutti gli errori commessi dalla polizia francese in questi ultimi mesi di terrore quasi non ci si crede. Partiamo dalla fine: il 26 luglio, un commando di due uomini, entrambi schedati con la lettera “S”, ossia come persone a forte rischio di radicalizzazione, sgozzano un prete, padre Jacques Hamel, in una chiesa di Saint Etienne du Rouvray, vicino a Rouen. Uno dei due uomini aveva provato ad andare in Siria a combattere come foreign fighters per ben due volte, e due volte era stato preso e incarcerato. Il giorno della strage indossava un braccialetto elettronico che gli impediva di uscire di casa per tutto il giorno, tranne che per quattro ore, dalle 8,30 alle 12,30. Orario che, secondo chi di dovere, era evidentemente incompatibile con un attentato.
Tutto questo avviene circa due settimane dopo che un camion aveva falciato e ucciso ottantaquattro persone a Nizza, passando semiindisturbato sul Promenade des Anglais durante la festa della repubblica del 14 luglio. Quel camion ha forzato un blocco di polizia composto da un paio di transenne e altrettante volanti. Era stato controllato poche ore prima da un’altra pattuglia della polizia, perché era fermo da nove ore, nei pressi del tristemente celebre lungomare: «Devo consegnare dei gelati»,aveva detto loro. Gli agenti gli avevano creduto sulla parola e non avevano nemmeno controllato il carico del camion. Avrebbero trovato solamente una bicicletta e delle palette di carico. L'avessero perquisito, pure una pistola.
Non bastasse, quella sera era finito da quattro giorni lo stato di emergenza nazionale proclamato per i Campionati Europei di Calcio, che si erano conclusi il 10 luglio, la domenica precedente. Non c’era stato alcun attentato, ma il governo non aveva ritenuto di doverlo prolungare per una ricorrenza tanto importante come l’anniversario della presa della Bastiglia. Salvo poi fare marcia indietro, dopo la strage,posponendo la fine dello stato di emergenza al 1 gennaio del 2017.
Per la cronaca, il primo stato di emergenza era stato dichiarato da François Hollande il 14 novembre scorso, dopo che un commando di terroristi - anch’essi schedati “S” - aveva seminato il terrore per Parigi, uccidendo 128 persone tra lo Stade de France e la sala concerti del Bataclan. Quella sera, per la cronaca, nell’impianto di Saint Denis si giocava Francia-Germania e a cento metri in linea d’aria da dove uno dei kamikaze si è fatto esplodere sedevano proprio Hollande e Angela Merkel. Peraltro, l’unico sopravvissuto di quella strage, Salah Abdeslam, era riuscito a tornare a Bruxelles, nel quartiere di Molenbeek dove viveva e dove è riuscito a nascondersi per più di quattro mesi e a pianificare un altro attentato, quello dell’aeroporto e della metropolitana della capitale belga del 22 marzo. In mezzo a tutto questo, il premier Manuel Valls e il ministro dell’interno Bernard Cazeneuve non hanno mai rimesso il loro mandato nelle mani del presidente Hollande.
Nessno nasce imparato, sia chiaro. E il prezzo che la Francia ha pagato al terrore non è probabilmente da ascrivere in toto agli errori e alle sottovalutazioni del pericolo da parte delle sue forze dell'ordine. Però il problema resta: quante di quelle falle non sono fisiologiche? Quanta attenzione in più sarebbe bastata per non far succede NIzza, né Rouen? Ecco: magari il modello Israele per difenderci dal terrorismo è esagerato. Ma risparmiateci il modello francese, per cortesia.
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