TORINO, Chiamparino dopo la sconfitta del PD: "Siamo visti come una macchina di potere". Le opinioni di Damiano, Esposito, Berta e Bellono

giu 20, 2016 0 comments
SERGIO CHIAMPARINO

Di Andrea Carugati
http://www.huffingtonpost.it/

In queste ore dopo la caduta del Muro, quasi una piccola Stalingrado d’Italia passata in mani nemiche, la Torino democratica oscilla- come spesso accade in questi frangenti- tra lo choc e i rimpianti di chi da mesi, a microfoni spenti, sussurrava che contro la Appendino sarebbe stata durissima. Eppure anche i più critici e i meno entusiasti della ricandidatura di Fassino non si aspettavano che la botta arrivasse. Che gran parte delle ex periferie rosse si rivoltasse in questo modo contro il Pd. Sottofondo si avvertono già i primi segnali della resa dei conti che arriverà. Ma, al fondo, le varie anime dem concordano su un punto: quando la botta è così forte è sempre un impasto di ragioni nazionali e locali, di sottovalutazioni, di eccesso di sicumera. Non certo colpa di un singolo, e certamente non di un professionista come Fassino.
Sergio Chiamparino, che la città l’ha governata per dieci anni e ora è governatore della Regione da due anni, si sente responsabile, per la sua parte, della sconfitta. “Nel 2014 il Pd era come Re Mida, e io stesso ho beneficiato del potentissimo traino del partito nazionale; un traino che oggi si è girato dalla parte opposta”. Perché? “Siamo stati percepiti come una macchina di potere chiusa e autoreferenziale, incapace di dialogare con i settori della società che si sentono più distanti dalle stanze dei bottoni”, spiega ad Huffpost. “Forse per la crisi degli altri schieramenti, forse per meriti nostri, in questi anni abbiamo accumulato troppo potere, che ha trasfigurato l’immagine stessa del Pd, non più una comunità politica ma un partito dell’establishment, sempre più distante dalla condivisione dei bisogni concreti delle persone. La nostra logica è stata quella di non disturbare il manovratore”.
Chiamparino, che è stato un renziano convinto, non getta la croce addosso al premier, ma tra le righe la critica alla conduzione renziana del Pd è netta. Ma non c’è nel suo ragionamento una distinzione tra una Roma “cattiva” e i territori “buoni”, come pure spesso si sente nelle parole dei big locali. “Il vento antisistema c’è in tutta Europa e del resto basta vedere cosa è successo a Madrid e Barcellona. Ma se questo vento ha colpito così forte a Torino è per colpa nostra, non abbiamo creato le condizioni per il ricambio generazionale, siamo rimasti prigionieri delle logiche autoreferenziali tra le correnti, ci siamo illusi di poter andare avanti sempre con i soliti nomi, consapevoli di aver amministrato bene. E invece è arrivato un voto contro il potere costituito. Un messaggio chiaro e forte che ci potrebbe persino essere utile in vista delle politiche, basta però capirlo bene e dare le risposte giuste, altrimenti i rischi sono enormi…”. Chiamparino butta lì una provocazione, “consapevole che sia ingenua e velleitaria”: “Dovremmo sciogliere tutte le correnti, ripartire tutti insieme sui fondamenti di un nuovo Pd: il lavoro, un nuovo stato sociale capace di accompagnare le persone che hanno più bisogno...insomma, un gesto simbolico forte, che non sia un semplice lavacro, ma che dimostri ai nostri elettori che abbiamo capito la lezione…”.
La medicina di Chiamparino pare destinata a restare nel cassetto, non i temi che ha sollevato. “Nelle prime mosse del sindaco Appendino, come la richiesta di dimissioni del vertice della Fondazione San Paolo, si coglie un certo spirito rivoluzionario”, diceCesare Damiano, minoranza dem, amico di Fassino da una vita. “La loro esigenza è dimostrare che i vecchi sistemi di potere vengono messi in un angolo. Un sistema, quello torinese, che non è mai stato corrotto o distruttivo, e anzi ha dato buoni risultati anche nella gestione delle partecipate, ma che è parso sempre più autoreferenziale”. Damiano vede nel crollo di Torino una dinamica nazionale, a partire dal fatto che sono state proprio le periferie più disagiate a scegliere il M5s, mentre in centro il Pd ha retto. “La buona amministrazione c’è stata, e anche l’attenzione alle fasce più deboli da parte del Comune. Ma non è bastato perché la crisi ha inciso in modo pesantissimo sulle condizioni materiali. E su questo c’è stato un giudizio durissimo contro le politiche di Renzi e del governo, che non sono state in grado di intervenire in modo adeguato sulle crescenti disuguaglianze. E’ stato un voto politico, un giudizio negativo degli elettori di sinistra contro il governo e il Pd”.
Stefano Esposito, senatore cresciuto tra le fila dei Ds torinesi, giovane turco e renziano, non ci sta a buttare la croce addosso al premier: “”Non è un voto solo nazionale come dice Damiano. Io difendo le riforme del governo, ma sono atterrate su un corpo sociale ancora troppo sofferente. Dobbiamo evitare facili scorciatoie autoassolutorie. Chi tra noi aveva intuito che dopo 23 anni di governo c’era una forte esigenza di innovazione si è accomodato, ha rinunciato a porre il tema. La colpa non è di Fassino, ma a Torino e in Piemonte il Pd non trasmette più l’idea di una comunità: ognuno pensa alla propria carriera, si è persa di vista la casa comune che si è riempita di crepe e poi è crollata. Siamo un partito troppo individualista, autoreferenziale, notabilare”. ”Sa che le dico?”, alza la voce Esposito. “Che l’opposizione ci potrà fare solo bene, dobbiamo tornare a mettere gli scarponi in strada, nei territori più difficili. Il M5s da anni ci fa la morale? Ora tocca a loro, governino, si sporchino le mani: non sarà una passeggiata. Noi non scompariamo, faremo una serissima opposizione…”.
Alla fine della giornata più difficile per il Pd torinese da vent’anni a questa parte, e nonostante le diverse angolature, l’analisi sembra trovare più di un punto fermo: il potere, l’establishment, la ribellione dei ceti popolari una volta rossi. “Fassino ha sottovalutato il divario sociale che è cresciuto a Torino in questi anni di crisi, in cui è aumentato il numero di quanti si sentono esclusi", sintetizza Giuseppe Berta, storico dell’Industria alla Bocconi. "Alle urne il contrasto ormai in tanti paesi non è più tra destra e sinistra, ma tra establishment e forze anti establishment. E' chiaro quindi che il centrosinistra dopo vent'anni e più di regno incontrastato a Torino è stato percepito come l'establishment e che in molti non hanno resistito alla tentazione di buttarlo giù", spiega il docente, che non nasconde “un certo disamore dei cittadini per il premier Renzi”. E torna su un vecchio punto di forza del Pd, che si è trasformato in un boomerang: la narrazione. “Nel racconto del sindaco uscente di una città più bella, più colta, più vivibile, attrattiva da punto di vista turistico - tutte cose vere per carità - in molti stentavano a riconoscersi e quindi si sono sentiti esclusi da questa rappresentazione che era vera solo nel centro cittadino", spiega il docente.
Non molto dissimile l’analisi di Federico Bellono, segretario della Fiom cittadina: “E’ un voto di rottura, che mostra quella distanza siderale che si è creata in questi anni tra molti cittadini e il Pd. In città non si era mai verificato con questa nettezza il distacco tra il partito di governo e gli strati popolari. Fassino ha virato sulle periferie tra il primo e il secondo turno, ma la sua è stata una mossa tardiva”.

Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto