Di Gian Giacomo William Faillace
Tra Israele e Russia sono sempre esistiti rapporti d’amicizia di vario genere: diplomatico, commerciale, persino di appoggio, da parte di Mosca, a uno sviluppo demografico e militare autonomo di Tel Aviv.
Correva l’anno 1941, l’Unione Sovietica era ancora legata alla Germania nazista dal patto Molotov-Ribbentropp, ed il presidente dell’Organizzazione Sionistica mondiale Chaim Weizmann, incontrava Ivan Maisky, ambasciatore sovietico a Londra, per discutere del futuro di quel territorio chiamato Mandato Britannico della Palestina ma da sempre abitato dalla popolazione ebraica.
Mentre Weizmann si prodigava per la nascita ufficiale di uno Stato ebraico, il futuro premier israeliano David Ben Gurion, in veste di presidente dell’Yishuv, la comunità ebraica residente presso il Mandato Britannico della Palestina, intesseva una rete diplomatica con la Russia già qualche settimana dopo.
Nonostante il movimento comunista si opponga alla nascita di Israele fin dal 1946, l’Unione Sovietica ne formalizza il suo appoggio, e nel 1947 il vice-ministro degli esteri di Mosca annuncia che l’URSS potrebbe sostenere la divisione in due Stati di quell’area geografica che ancora gli antichi romani battezzavano col il nome di Palestina: a quella dichiarazione seguì, immediatamente, la ferma opposizione della Lega Araba.
Da allora Israele beneficia dell’appoggio politico e militare dell’URSS. Mosca, nelle sedi dell’ONU, si dichiara infatti favorevole alla creazione dello Stato di Israele portando anche i voti dei paesi europei suoi alleati. Inoltre fornisce al nuovo Stato risorse di enorme importanza.
All’epoca la popolazione ebraica contava circa seicentomila persone, e il Cremlino contribuì in maniera decisiva ad innalzare quel numero ancor prima del 1948, quando sostenne sia direttamente che indirettamente alcune operazioni di emigrazione verso il Medio Oriente. Operazioni organizzate dall’Agenzia ebraica a partire dall’Europa dell’Est (Romania e Bulgaria soprattutto), tant’è che i due terzi degli ebrei giunti nell’area del futuro Stato di Israele tra il 1946 ed il 1948 provengono da questi paesi.
A quel punto però il problema principale divenne il futuro esercito dello Stato ebraico. Mosca in quegli anni non sostenne Israele solo con l’incremento demografico ma anche militarmente: dal maggio 1947 la Cecoslovacchia, su pressione del Cremlino, diventa infatti il principale fornitore di armi della popolazione israeliana. Fino al 1951 la capitale boema consegna così armi leggere e pesanti, compresi carri ed aerei da combattimento.
In generale, nel decennio che va dal 1941 a 1951 Israele ottiene dall’URSS un grandissimo appoggio, senza precludere i propri rapporti in Occidente. Un accenno di rottura avviene subito dopo, a causa delle campagne antisemite che infuriarono in Europa dell’est nonché per le numerose purghe avviate nelle varie “repubbliche popolari” che coinvolsero anche numerosi cittadini ebrei.
Quattro mesi dopo la morte di Stalin tuttavia, nel luglio del 1953, ripresero i rapporti diplomatici: una nuova era di collaborazione che durerà fino al 1967, quando, con la Guerra dei Sei Giorni, Mosca decide di appoggiare l’Egitto e i suoi alleati arabi.
Bisognerà aspettare il 1991, a poche settimane dal crollo dell’Unione Sovietica, per vedere Mosca e Tel Aviv tornare a dialogare come circa cinquant’anni prima, un ritorno al dialogo destinato a rinsaldarsi fino ai giorni nostri: oggi possiamo dire che Israele appoggia in modo chiaro Mosca in sede ONU, come ha testimoniato l’assenza dell’ambasciatore israeliano durante l’Assemblea Generale votata a condannare l’annessione della Crimea alla Russia (tenutasi il 27 Marzo 2014 a New York).
Un episodio che conferma la complessità del dialogo tra i due Paesi: nonostante le divergenze sulla questione siriana ed iraniana, essi mantengono sempre vivo il loro filo diretto. Israele, rendendosi anche conto dell’erosione dell’influenza americana nel Medio Oriente, favorisce quella di Mosca consacrando quest’ultima ad elemento di ricomposizione geopolitica dopo le primavere teocratiche arabe.
Inoltre la posizione pragmatica di Putin è entrata in conflitto con gli atteggiamenti più accondiscendenti verso il terrorismo islamico della diplomazia occidentale, tanto che la fermezza e la tenacia dell Russia nel braccio di ferro con Obama sono stati materia analisi non solo di Tel Aviv ma anche degli altri governi del Golfo, dove Mosca viene vista come potenza in ascesa.
I buoni rapporti tra Israele e la Russia sono sorretti da densi scambi economici e da una sorta di “russificazione” di Israele: circa un milione di cittadini israeliani, infatti, provengono dall’area russa o comunque ex sovietica.
Dalla fine degli anni ’80 essi rappresentano circa un settimo della popolazione israeliana, tanto che Putin è arrivato ad attribuire ad Israele, in via del tutto amichevole, lo status di “paese russofono”.
Dalla fine degli anni ’80 essi rappresentano circa un settimo della popolazione israeliana, tanto che Putin è arrivato ad attribuire ad Israele, in via del tutto amichevole, lo status di “paese russofono”.
Gli israeliani di origine russa costituiscono una comunità autonoma ed al contempo ben integrata nella vita culturale, economica e politica dello Stato ebraico. Ricordiamoci che Golda Meir, Primo Ministro di Israele tra il 1969 ed il 1974, nacque nel 1898 a Kiev, e che l’attuale Ministro degli Esteri, Avigdor Liebermenn, è originario di Chisinau, capitale della Moldavia.
Nel corso di questo secolo, Israele è diventata una delle più apprezzate mete del turismo russo, e nel 2008 i due paesi hanno abrogato il sistema dei visti. Snellimenti che favoriscono una migliore comprensione reciproca che si traduce anche in termini economici: mentre il flusso turistico russo ha raggiunto il 13,2%, gli scambi commerciali sono passati da 12 milioni di dollari del 1991 ai 3,5 miliardi del 2013 (con una piccola flessione nel 2008 a causa della crisi economica).
Quanto alle merci scambiate, Israele tende ad importare idrocarburi e diamanti grezzi, mentre Mosca si concentra su prodotti agricoli, manufatti elettronici, materiale medico. I rapporti commerciali sono così attivi che entrambi i Paesi stanno valutando la creazione di una zona di libero scambio: è infatti allo studio da circa due anni un accordo tra Israele, l’Unione doganale Russia-Kazachistan e la Bielorussia.
Le relazioni si rivelano promettenti anche dal punto di vista tecnico-militare, soprattutto in ambito della progettazione e costruzione dei droni. La Russia deve colmare il suo ritardo nelle tecnologie di punta ed Israele possiede una delle industrie più avanzate nel settore.
Nel 2009 il Cremlino ha firmato con la Israel Aerospace Industry (Iai) un contratto per l’acquisto di dodici droni da sorveglianza per un valore di circa 53 milioni di dollari. Successivamente, nel 2010, sempre tra la Iai e la russa Oboronprom, è stato siglato un accordo per l’acquisto di droni Searcher Mk-II e Bird-Eye-400 per un totale di 400 milioni di dollari, oltre alla costruzione di un’industria di assemblaggio a Ekaterinburg che già dal 2012 ha iniziato le consegne dei primi droni, all’esercito russo, di fabbricazione russo-israeliana.
Nel campo energetico Russia e Israele hanno stretto i loro rapporti soprattutto dopo la scoperta, a largo di Haifa, di un giacimento di gas le cui riserve raggiungono, secondo le stime, di ben 1.400 miliardi di metri cubi. Fino al 2010, ad estrarre questi idrocarburi erano solo le compagnie statunitensi ma successivamente Israele ha preferito diversificare le sue fonti di reddito autorizzando la Gazprom ad estrarre il gas dai giacimenti di fronte alle sue coste. Quest’ultima nel 2013 ha a sua volta firmato un accordo con l’israeliana Levant Lng marketing corporation per acquistare gas da Tamar.
Nonostante il palese sostegno della Russia ad Assad e all’Iran sia dal punto di vista militare, sia in campo nucleare per usi civili, gli accordi tra Tel Aviv e Mosca si sono ulteriormente rafforzati negli ultimi mesi. Israele, che inizialmente pareva più interessato alla caduta dell’asse sciita, successivamente, con l’appoggio al regime di Damasco da parte di Putin, ha badato maggiormente alle sue questioni di sicurezza interne, poiché a causa dei tentennamenti americani e dell’Occidente in generale, la Siria stava per diventare una “terra di nessuno” passibile di trasformarsi in un regime teocratico.
Pertanto Tel Aviv ha indirettamente appoggiato le scelte di Mosca, e col Cremlino sono stati trovati dei giusti compromessi per garantire la sicurezza dello Stato ebraico. Inoltre Mosca avrebbe dovuto vigilare, e così è stato, affinché le armi consegnate all’esercito regolare siriano non cadessero nelle mani di Hezbollah.
Possiamo quindi anche affermare che la crisi siriana abbia contribuito ad avvicinare ulteriormente Israele e Russia. Al punto che da poco più di un anno entrambi i paesi hanno creato una linea di comunicazione criptata permanente, per discutere delle diverse questioni di grande rilevanza senza l’intervento diretto di Washington. Da notare che, finora, Israele aveva attivato un sistema simile solo con gli Stati Uniti.
Quanto ai dibattiti interni ad Israele, a dividere gli animi è la questione ucraina: la comunità russofona israeliana trae le sue radici prevalentemente nella stessa Ucraina, nella Russia, la Bielorussia e nelle aree caucasiche. Mentre alcuni manifestano le loro simpatie a favore del movimento di piazza Maidan, altri sono più vicini alla causa del Donbass e, quindi, alle posizioni di Mosca, preoccupati della presenza in seno all’attuale governo di Kiev di elementi e forze politiche apertamente antisemite, nonché di una sorta di destra vicine all’ideologia nazista che ne adotta persino alcuni simboli.
La Shoah rimane infatti un fattore determinante che funge da filtro degli eventi, cosicché l’attuale regime ucraino non gode, presso Israele, di un’immagine positiva.
L’inaugurazione avvenuta nel Giugno 2012 a Netanya, città israeliana, di un monumento alla memoria dei soldati dell’Armata Rossa caduti al fronte combattendo il Nazismo, in cui erano presenti Benjamin Natanyahu e Vladimir Putin, ha rinsaldato la battaglia comune contro il negazionismo, portando i due Paesi a godere di rapporti privilegiati in campo culturale, politico, militare ed economico.
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