Di Davide Barone
Nel 1984 Frederic Jameson scrisse un articolo sulla postmodernità dove, nel delinearne le tendenze, includeva la “precedenza della superficie sulla profondità, della simulazione sulla realtà, del gioco sulla serietà” (Jameson 1984); contemporaneamente, accusava la mancanza di oggetti in grado di rappresentare la postmodernità.
Oggi abbiamo finalmente l’oggetto adeguato alla sua rappresentazione: ilcyberspazio, che tuttavia rappresenta una sfida alla rappresentazione stessa.
L’inventore del termine è lo scrittore William Gibson che nel suo romanzo Neuromante del 1984 descrisse uno spazio digitale e navigabile, (dal greco kiber: navigare) un mondo elettronico visuale e colorato nel quale individui e società interagiscono attraverso le informazioni. Il cyberspazio di Gibson é un universo di reti digitali di computer, un mondo nel quale multinazionali, corporazioni e pirati informatici si scontrano per la conquista dei dati e delle informazioni: “cyberspazio, un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici…Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi d’ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano…” (Gibson 1984)
Gibson immaginava un universo immateriale e tridimensionale fatto di informazioni, all’interno del quale si poteva entrare, muoversi come nel mondo reale, attraversando città di dati elettronici e attraversando piazze per scambiarsi informazioni.
John Case, protagonista del romanzo, si aggira scorrazzando come un cowboy nelle praterie informatiche, nella “matrice” (lo spazio della rete), anticipando così, di molti anni, l’immaginario collettivo delle esperienze di navigazione in Internet. Lo scrittore ricercava un termine che potesse descrivere efficacemente la sua visione di una rete globale di computer che potesse collegare ogni macchina ed ogni persona; una rete globale attraverso la quale ognuno potesse muoversi e navigare in uno spazio virtuale. Dall’uscita di Neuromante in poi il concetto di cyberspazio é stato ripreso, riutilizzato e modificato ma il contesto nel quale ha trovato la sua collocazione é comunque sempre stato quello del mondo della comunicazione e informazione digitale e quello delle realtà virtuali. Pierre Lévy, nel suo libro Cybercultura lo definisce: “Spazio di comunicazione aperto dall’interconnessione mondiale dei computer e delle memorie informatiche”(Levy 1999). Questa definizione comprende l’insieme dei sistemi di comunicazione elettronici; incluse, quindi, le reti telefoniche classiche, nella misura in cui vi affluiscano informazioni provenienti da fonti digitali. Questo nuovo ambiente ha come tendenza fondamentale quella di mettere in sinergia e interfacciare tutti i dispositivi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione dell’informazione. Le principali innovazioni, rispetto alle tecniche di comunicazione precedenti, riguardano il rapporto con l’utente ovvero la sua interazione con il sistema operativo. Oltre che usufruire delle capacità del proprio calcolatore, ogni utente collegato in rete può accedere a distanza alle varie risorse di un altro “device”, la scarsa potenza di un calcolatore può essere compensata dalle immense possibilità cui può accedere collegandosi in “rete”. Tutti i “device” sono collegati in un sistema che permette a ogni singolo di usufruire delle capacità del collettivo, ogni navigatore tende, quindi, a sentirsi virtualmente in contatto con tutti gli altri cittadini della rete attraverso uno spazio in cui si percepiscono al contempo la lontananza e la vicinanza.
A differenza del mondo reale dove siamo abituati ad organizzazioni spaziali, fisicamente delimitate, che chiamiamo stanza, casa, parco, cinema, macchina, ecc. nella rete si verifica un abbattimento delle frontiere spaziali e temporali. Lo spazio è sempre meno esprimibile attraverso misure lineari e la distanza (intesa anche come tempo) diventa irrilevante. Accade, quindi, che l’idea di spazio, con la quale abbiamo quotidianamente a che fare, si complica e si articola nell’interazione con uno spazio virtuale sempre più esteso che Tagliagambe (1997) definisce una “visualizzazione spazializzata delle informazioni disponibili in sistemi globali di elaborazione ……, lungo percorsi forniti da reti di comunicazioni, che permette la compresenza e l’interazione tra più utenti e rende possibile la ricezione e la trasmissione di informazioni attraverso l’insieme dei sensi umani”.
L’inventore del termine è lo scrittore William Gibson che nel suo romanzo Neuromante del 1984 descrisse uno spazio digitale e navigabile, (dal greco kiber: navigare) un mondo elettronico visuale e colorato nel quale individui e società interagiscono attraverso le informazioni. Il cyberspazio di Gibson é un universo di reti digitali di computer, un mondo nel quale multinazionali, corporazioni e pirati informatici si scontrano per la conquista dei dati e delle informazioni: “cyberspazio, un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici…Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi d’ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano…” (Gibson 1984)
Gibson immaginava un universo immateriale e tridimensionale fatto di informazioni, all’interno del quale si poteva entrare, muoversi come nel mondo reale, attraversando città di dati elettronici e attraversando piazze per scambiarsi informazioni.
John Case, protagonista del romanzo, si aggira scorrazzando come un cowboy nelle praterie informatiche, nella “matrice” (lo spazio della rete), anticipando così, di molti anni, l’immaginario collettivo delle esperienze di navigazione in Internet. Lo scrittore ricercava un termine che potesse descrivere efficacemente la sua visione di una rete globale di computer che potesse collegare ogni macchina ed ogni persona; una rete globale attraverso la quale ognuno potesse muoversi e navigare in uno spazio virtuale. Dall’uscita di Neuromante in poi il concetto di cyberspazio é stato ripreso, riutilizzato e modificato ma il contesto nel quale ha trovato la sua collocazione é comunque sempre stato quello del mondo della comunicazione e informazione digitale e quello delle realtà virtuali. Pierre Lévy, nel suo libro Cybercultura lo definisce: “Spazio di comunicazione aperto dall’interconnessione mondiale dei computer e delle memorie informatiche”(Levy 1999). Questa definizione comprende l’insieme dei sistemi di comunicazione elettronici; incluse, quindi, le reti telefoniche classiche, nella misura in cui vi affluiscano informazioni provenienti da fonti digitali. Questo nuovo ambiente ha come tendenza fondamentale quella di mettere in sinergia e interfacciare tutti i dispositivi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione dell’informazione. Le principali innovazioni, rispetto alle tecniche di comunicazione precedenti, riguardano il rapporto con l’utente ovvero la sua interazione con il sistema operativo. Oltre che usufruire delle capacità del proprio calcolatore, ogni utente collegato in rete può accedere a distanza alle varie risorse di un altro “device”, la scarsa potenza di un calcolatore può essere compensata dalle immense possibilità cui può accedere collegandosi in “rete”. Tutti i “device” sono collegati in un sistema che permette a ogni singolo di usufruire delle capacità del collettivo, ogni navigatore tende, quindi, a sentirsi virtualmente in contatto con tutti gli altri cittadini della rete attraverso uno spazio in cui si percepiscono al contempo la lontananza e la vicinanza.
A differenza del mondo reale dove siamo abituati ad organizzazioni spaziali, fisicamente delimitate, che chiamiamo stanza, casa, parco, cinema, macchina, ecc. nella rete si verifica un abbattimento delle frontiere spaziali e temporali. Lo spazio è sempre meno esprimibile attraverso misure lineari e la distanza (intesa anche come tempo) diventa irrilevante. Accade, quindi, che l’idea di spazio, con la quale abbiamo quotidianamente a che fare, si complica e si articola nell’interazione con uno spazio virtuale sempre più esteso che Tagliagambe (1997) definisce una “visualizzazione spazializzata delle informazioni disponibili in sistemi globali di elaborazione ……, lungo percorsi forniti da reti di comunicazioni, che permette la compresenza e l’interazione tra più utenti e rende possibile la ricezione e la trasmissione di informazioni attraverso l’insieme dei sensi umani”.
Bibliografia
Gibson W, (2000) Neuromante, Editrice Nord, 2000, Milano
Jameson F (1984) Postmodernism, or The Cultural Logic of Late Capitalism New Left Review
Levy P (1999) Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie Feltrinelli, Milano
Tagliagambe S. (1997) Epistemologia del cyberspazio Demos editore Cagliari
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://davidebarone.altervista.org/le-origini-del-cyberspazio/
FOTO:http://www.ilrottamatore.it
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