“Ideologia” è una di quelle parole che le persone usano a sproposito. E ogni volta che succede vorrei prendere a pugni lo schermo. Invece opterò per una soluzione più costruttiva, quella di scrivere un post che spieghi cosa può essere, dal punto di vista sociologico, un’ideologia, in varie interpretazioni, e quali sono stati gli usi di questo concetto analitico nelle sue differenti declinazioni.
Partiamo dalla definizione (in questo caso, tratta dal libro di testo Sociologia dei processi culturali di Loredana Sciolla): “I criteri che consentono l’individuazione di un’ideologia sono: a) una visione del mondo con un alto grado di coerenza interna; b) prodotto esplicitamente da gruppi di intellettuali, ma diffuso a più ampi strati della popolazione; c) che ha funzione di legittimare o giustificare i rapporti di potere presenti in un gruppo sociale o in un’intera società; d) a partire non da fonti ultraterrene, ma richiamandosi all’autorità scientifica (per quanto questo richiamo possa essere solo di facciata)”.
La riflessione sul concetto di ideologia nasce nel XIX secolo, quando le religioni cristiane entrano in competizione con altre fonti di legittimazione che pretendono di fondare la vita sociale e collettiva su sistemi di idee e valori secolari, secondo lo storico Arnold Toynbee, ma il termine ha origine anteriore: nasce verso la fine del XVIII secolo per mano di Antoine Destutt de Tracy, filosofo illuminista, che si propone di fondare una “scienza delle idee”, o meglio della loro origine nelle impressioni sensoriali.
L’origine invece della definizione di senso comune dell’ideologia come “forma distorta del pensiero” risale al concetto di idola di Francesco Bacone, secondo cui esistono quattro specie di idola che distorcono il pensiero umano e ostacolano il raggiungimento della verità, gli idola tribus, basati sulla natura umana, gli idola specus, legati ai singoli individui, gli idola fori, che derivano dal carattere sociale dell’esistenza umana, e infine gli idola theatri, che sorgono dalle idee e dalle opinioni tradizionali (dal senso comune, diremmo oggi).
Secondo Bacone, il pregiudizio nasce da un complesso di impulsi irrazionali, condizionati dagli interessi di dominio dei gruppi sociali dotati di maggiore potere, fra cui il clero, che diffondeva superstizioni per tenere le masse religiose nella paura. Il pregiudizio era quindi una manipolazione consapevole e l’ideologia veniva imposta attraverso l’inganno: per distruggerla sarebbe bastato squarciare il velo dell’ignoranza, ed essa sarebbe crollata da sola.
Si tratta di una spiegazione molto illuminista, ma anche riduttiva: come puntualizza Sciolla “vengono sottovalutate le reali condizioni sociali e di vita che contribuiscono a rendere pregiudizi e idee errate ‘credibili’ da parte delle persone”, anche considerato che “il miglior modo per persuadere gli altri è credere in quello di cui si vuole convincere”.
L’origine invece della definizione di senso comune dell’ideologia come “forma distorta del pensiero” risale al concetto di idola di Francesco Bacone, secondo cui esistono quattro specie di idola che distorcono il pensiero umano e ostacolano il raggiungimento della verità, gli idola tribus, basati sulla natura umana, gli idola specus, legati ai singoli individui, gli idola fori, che derivano dal carattere sociale dell’esistenza umana, e infine gli idola theatri, che sorgono dalle idee e dalle opinioni tradizionali (dal senso comune, diremmo oggi).
Secondo Bacone, il pregiudizio nasce da un complesso di impulsi irrazionali, condizionati dagli interessi di dominio dei gruppi sociali dotati di maggiore potere, fra cui il clero, che diffondeva superstizioni per tenere le masse religiose nella paura. Il pregiudizio era quindi una manipolazione consapevole e l’ideologia veniva imposta attraverso l’inganno: per distruggerla sarebbe bastato squarciare il velo dell’ignoranza, ed essa sarebbe crollata da sola.
Si tratta di una spiegazione molto illuminista, ma anche riduttiva: come puntualizza Sciolla “vengono sottovalutate le reali condizioni sociali e di vita che contribuiscono a rendere pregiudizi e idee errate ‘credibili’ da parte delle persone”, anche considerato che “il miglior modo per persuadere gli altri è credere in quello di cui si vuole convincere”.
Un’altra tappa fondamentale nella definizione del concetto di ideologia è quella rappresentata da Karl Marx. Il filosofo tedesco, nell’operaL’ideologia tedesca (1845) concepisce l’ideologia come un capovolgimento della realtà per cui le idee sono considerate autonome e non un’emanazione diretta del loro comportamento materiale, capovolgimento che deriva dalla divisione del lavoro fra intellettuale e materiale, che ha creato una categoria di individui impegnati solo nella produzione di idee, e che per questo non sono più in grado di scorgerne l’origine. Invece ne Il capitale (1867) Marx si sofferma su “un diverso modo di operare dell’ideologia, che nel sistema economico capitalistico tratta i reali rapporti tra persone come se fossero rapporti tra cose, oggettivizzandoli e naturalizzandoli”, per dirla con le parole di Sciolla. In entrambi i casi, per Marx l’ideologia è una “rappresentazione falsa che si produce senza che chi la produce abbia coscienza della sua falsità”, prodotta direttamente da fattori storici e sociali, che costituisce “una condizione per il funzionamento e la riproduzione del sistema di classe dominante” e opera anche attraverso “l’universalizzazione di interessi particolari, ossia quando gli interessi di un gruppo vengono presentati come interessi di tutti”.
Vilfredo Pareto, nel suo Trattato di sociologia generale del 1916, considera l’ideologia come “un insieme di idee e di valori politici, spesso camuffati da teorie scientifiche, ma che in realtà nascondo interessi e motivazioni diverse”, come spiega Loredana Sciolla, e come “razionalizzazioni ‘a posteriori'”, come una “‘vernice logica’ che gli individui applicano a motivazioni sottostanti senza averne coscienza”. Queste motivazioni sono di natura psichica, sono impulsi e istinti. Le ideologie possono essere analizzate sotto l’aspetto oggettivo, cioè il nesso logico o meno con cui i dati vengono collegati, sotto l’aspetto soggettivo, cioè secondo le ragioni che gli individui hanno per accoglierle (la loro forza persuasiva), e secondo l’utilità sociale che possono avere.
Infine, una svolta nella concezione in sociologia di “ideologia” avviene con l’opera Ideologia e utopia (1929) di Karl Mannheim. Il sociologo tedesco distingue fra “concezione ‘particolare’ dell’ideologia, intesa come semplice distorsione dovuta a interessi particolari” e “concezione ‘totale’ dell’ideologia che emerge quando spostiamo l’attenzione dal livello psicologico a quello della struttura mentale, dello stile di pensiero, del modo di affrontare e di interpretare la realtà di un’intera epoca storica o gruppo sociale”, quando “cerchiamo di rendere conto di una più complessiva concezione del mondo (Weltanschauung) che deve essere ricostruita come ‘unità di senso’e interpretata come prodotto di una condizione di vita collettiva”, spiega Sciolla.
Mannheim sostiene la necessità di un metodo interpretativo di studio dei prodotti culturali, che “implica la loro collocazione entro una totalità strutturata di cui essi costituiscono singole parti”. Diventa fondamentale capire come una Weltanschauung può essere distillata dalle varie “oggettivazioni” con cui si presenta in ogni singola epoca storica, e per farlo Mannheim individua tre ‘strati di significato’: il significato obiettivo, che riguarda l’identificazione di un’azione, il significato espressivo, cioè l’intenzione soggettiva dell’attore sociale, e il significato documentario, cioè il significato totale che deriva dal connettere i singoli significati tra loro e dal metterli in relazione con il principio dominante.
Abbiamo così la relativizzazione del concetto di ideologia, essendo che ogni pensiero condizionato storicamente e socialmente è ideologico, e per questo il termine perde la sua connotazione negativa, diventando sinonimo di “insieme di credenze e valori di una società”. La concezione neutrale dell’ideologia è stata poi sostenuta da Edward Shils (in The concept and function of ideology, 1968), che considera il termine equiparabile a “visione del mondo” e distingue le ideologie solo in base al grado di esplicitazione con cui sono formulate e in base alla loro rigidità, chiusura e resistenza all’innovazione.
Il grande antropologo Clifford Geertz, in Interpretazioni di culture (1973), considera l’ideologia come un”azione simbolica’ basata sulla metafora, con la funzione di produrre un effetto di mobilitazione.
Louis Althusser (in Leggere il Capitale, 1968), a sua volta, sotto il termine di ideologia raccoglie “tutte le idee, dalle teorie scientifiche alle dottrine religiose, alle filosofie, alle norme morali”, facendolo divenire quindi un sinonimo di cultura.
Mannheim sostiene la necessità di un metodo interpretativo di studio dei prodotti culturali, che “implica la loro collocazione entro una totalità strutturata di cui essi costituiscono singole parti”. Diventa fondamentale capire come una Weltanschauung può essere distillata dalle varie “oggettivazioni” con cui si presenta in ogni singola epoca storica, e per farlo Mannheim individua tre ‘strati di significato’: il significato obiettivo, che riguarda l’identificazione di un’azione, il significato espressivo, cioè l’intenzione soggettiva dell’attore sociale, e il significato documentario, cioè il significato totale che deriva dal connettere i singoli significati tra loro e dal metterli in relazione con il principio dominante.
Abbiamo così la relativizzazione del concetto di ideologia, essendo che ogni pensiero condizionato storicamente e socialmente è ideologico, e per questo il termine perde la sua connotazione negativa, diventando sinonimo di “insieme di credenze e valori di una società”. La concezione neutrale dell’ideologia è stata poi sostenuta da Edward Shils (in The concept and function of ideology, 1968), che considera il termine equiparabile a “visione del mondo” e distingue le ideologie solo in base al grado di esplicitazione con cui sono formulate e in base alla loro rigidità, chiusura e resistenza all’innovazione.
Il grande antropologo Clifford Geertz, in Interpretazioni di culture (1973), considera l’ideologia come un”azione simbolica’ basata sulla metafora, con la funzione di produrre un effetto di mobilitazione.
Louis Althusser (in Leggere il Capitale, 1968), a sua volta, sotto il termine di ideologia raccoglie “tutte le idee, dalle teorie scientifiche alle dottrine religiose, alle filosofie, alle norme morali”, facendolo divenire quindi un sinonimo di cultura.
La conclusione è che nella storia del pensiero sociologico gli sforzi di definire il concetto di “ideologia” non hanno portato a risultati univoci, ma anzi ad una notevole differenziazione di significati. Personalmente, trovo che la definizione di Loredana Sciolla sia soddisfacentemente chiara e priva di ambiguità. Tuttavia, il richiamo della concezione neutrale del termine è forte, specie considerato quanto dichiarare una qualsiasi idea con cui si dissente “ideologia”, come se questo bastasse automaticamente a squalificarla, sia un atteggiamento diffuso.
Il dibattito resta aperto, in attesa di un contributo risolutivo che trovi l’accordo della comunità dei sociologi (cosa praticamente impossibile, ma non si sa mai).
Il dibattito resta aperto, in attesa di un contributo risolutivo che trovi l’accordo della comunità dei sociologi (cosa praticamente impossibile, ma non si sa mai).
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