"Muri in camicia nera": murales e graffiti durante il fascismo

gen 9, 2016 0 comments


Di Marco Petrelli 
Romano, classe 1969, Claudio Marsilio è un architetto specializzato nella tutela del patrimonio. Da alcuni annile vecchie scritte murarie del Ventennio, della guerra civile e dei primi mesi di vita della Repubblica Italiana sono al centro della sua attenzione.
No signori, di fronte non abbiamo un fanatico o un collezionista ossessivo, bensì uno studioso che di quei ‘murales neri’ ha voluto ricostruire passato, funzione e sopravvivenza nel corso dei decenni. Già perché a noi sembra facile, ma per un’effige mussoliniana sopravvivere per 80 anni a logorio degli edifici, abbattimenti, tentativi di cancellazione è di per sé un piccolo record.
Quale il senso di conservare e di catalogare quelle forme di propaganda? Claudio lo spiega nella sua fatica “Muri in camicia nera” (Albertelli Editore, 2012), studio che tratta dell’argomento non in modo apologetico, bensì con l’occhio critico di chi scopre, analizza ed invita a preservare testimonianze di un passato recente, che ancora esercita sulla nostra società, sul nostro pensiero, sulla storiografia contemporanea divisa da 20 anni non ancora completamente noti e conosciuto fin alle loro radici.

Perché ‘Muri in camicia nera’?
“Il titolo, in apparenza provocatorio, riassume il contenuto della ricerca, anche se per difetto: il libro affronta anche le scritte successive alla caduta del fascismo,quelle delle prime elezioni libere, così come del referendum monarchia-repubblica e delle classi in partenza. I “muri in camicia nera” presero corpo intorno alla metà degli anni ’30, quando il regime fascista, per intuizione e scelta del suo segretario d’allora, Achille Starace, decise di trasferire i motti e le parole d’ordine del suo Capo dagli scritti, dai libri e decaloghi direttamente sulle piazze e vie d’Italia.
Partì dunque un’operazione sistematica di scelta delle frasi, estrapolate in gran parte dai discorsi di Mussolini, che si trasferirono dalle Alpi – è proprio il caso di dirlo! – alle Piramidi, raggiungendo persino ( in un momento di scarsa diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, ed in assenza di internet! ) le colonie d’Oltremare. Fu un’ intuizione felice: vennero dipinti motti, immagini del Duce, simboli che diventarono presto parte del paesaggio urbano, diffondendo al contempo i messaggi del regime. Fu, come racconto nel libro, un’operazione effettuata a basso costo, di forte suggestione e di notevole durata, per la maestrìa con cui vennero stese e realizzate. Ancora oggi fanno bella mostra di sé in gran parte d’Italia nonostante i ripetuti tentativi di manipolazione o cancellazione. Nel testo raccontiamo anche questo: come si operò, quando vennero realizzate, perché sopravvissero, perchè devono rimanere”.

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Quante ‘scritte’ ha censito in Italia?
“In realtà il testo è circoscritto alla regione Abruzzo, per motivi che descrivo nell’introduzione. Ma in questo campo ho avuto modo di esplorare quanto già censito da diverse altre pubblicazioni, riferite al nord Italia ed all’alto Lazio; in più, sono amministratore di una pagina su Flickr dedicata alle scritte di regime, e diversi altri siti si dedicano con passione a questo argomento ed ad altri riferiti alla seconda guerra mondiale. Nel mio lavoro ci sono più di 400 foto,tra scritte, graffiti, lapidi, monumenti etc. riferiti al passato regime”.
Ne sopravvivono ancora molte?
“Assolutamente sì. Il lavoro è teso proprio alla salvaguardia ed alla contestualizzazione. Alla fine del libro ho anche inserito una foto presa dall’XI municipio di Roma, dove una scritta inerente la Lista n°1 Garibaldi è stata opportunamente restaurata e riconsegnata alla memoria collettiva della città, con apposizione di targa esplicativa accanto. Ecco, non dico di doverle tutelare tutte, ma le più significative senz’altro”.
Durante la tua ricerca quali sono state quelle che ti hanno più impressionato?
“Innanzitutto quella a cui ho dedicato la copertina, presa a Mosciano Sant’Angelo: un Mussolini sorridente, con il fez, ritratto su un edificio vicino al palazzo Comunale. Abituati come siamo ad immagini truci e di Mussolini guerrafondaio con l’elmetto in testa, questa l’ho trovata davvero bella e sorprendente per stato di conservazione. Poi aggiungerei le scritte che blandiscono il popolo contadino, il lavoro dei campi e l’amore per la Terra; le frasi – dal sapore novecentesco – sulla Patria sentita come Madre Comune che va amata con lo stesso trasporto con cui si ama la propria.

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