Municipalismo libertario e autogoverno: le proposte di Murray Bookchin
Di Salvo Vaccaro *
Murray Bookchin (1921-2006) è stato uno dei pensatori radicali più influenti del XX secolo. Le sue idee, maturate nel corso di decenni in cui ha saputo intrecciare in maniera feconda attività politica militante e riflessione teorica, sono oggi diventate pratiche quotidiane diffuse in vari ambienti del pianeta, anche laddove nessuno ha mai letto un rigo dei suoi libri.
La sua attività politica e sindacale nell'immediato secondo dopoguerra ha consentito a Bookchin di comprendere dinamiche collettive cruciali per ogni progettualità politica, dandogli rifugio dalle astrattezze concettuali e dalle inconcludenze tentennanti tipiche di ogni intellettuale che voglia restare «puro» rispetto alle contaminazioni della politica quotidiana. In essa, Bookchin ha saputo progressivamente distanziarsi dalla sua origine marxista e trockista per avvicinarsi sempre più alla visione libertaria e anarchica sia del rapporto con il mondo, sia delle forme organizzative con cui attivare processi di trasformazione sociale, ancor prima che politica.
In parallelo, la sua formazione da autodidatta gli ha permesso di costruirsi una solida cultura filosofica, politica, sociologica, storica, antropologica, al passo con il consolidato teorico della seconda metà del secolo scorso. Il suo ancoraggio nella cultura dialettica hegelo-marxiana lo ha avvicinato ai teorici di quella che fu denominata Scuola di Francoforte, ponendosi come uno dei suoi epigoni più interessanti quanto più eccentrica fu la sua collocazione tanto verso i Francofortesi, quanto verso il marxismo politico di matrice teorica.
I suoi lavori, ormai tradotti in tante lingue, spaziano dalla ricerca storica a quella antropologica, dalla ricostruzione delle forme sociali di urbanizzazione (dalla polis alla metropoli passando per i comuni medievali) ai temi più prettamente politici di segno anarchico, sino alla recente raccolta di alcuni suoi testi dall'emblematico titolo The Next Revolution, curata dalla figlia Debbie insieme a Blair Taylor. L'opera sua più celebre è The Ecology of Freedom, in cui mette a frutto la sua intensa partecipazione ai movimenti ambientali, inaugurando tuttavia una torsione teorico-politica non indifferente, poiché Bookchin disloca il nesso tra uomo e natura, che rappresenta il focus di ogni critica ecologica al manifesto moderno stilato da Bacone, alla radice del rapporto di dominio che pervade il rapporto dell'uomo con l'altro uomo, con decenni di anticipo rispetto alle visioni divulgative di Vandana Shiva o di Naomi Klein. La disponibilità, assoluta o conflittuale, con cui l'umanità tratta la natura si iscrive all'interno di una cornice più ampia in cui l'umano dispone dell'altro umano in senso prettamente politico, dando luogo a una specifica forma di vita che noi definiamo società. Ecco perché, secondo Bookchin, ogni tesi ecologista che reinterpreti e reinventi un rapporto tra uomo e natura, tanto nella concettualità quanto nella pratica, è profondamente sociale perché socialmente costruita. E tale costruzione sociale delinea il campo della politica non come arte del governare assegnata alle varie istituzioni che si sono succedute nel corso dei secoli, bensì come modalità di organizzazione sociale volontariamente progettata e costruita nel concorso conflittuale di soggetti consapevoli e rischiarati nel dialogo permanente di ragioni, argomentazioni e obiezioni critiche.
Il lavoro che viene qui riproposto – al di là di qualche sporadico passaggio logorato dall'usura del tempo in frenetica accelerazione nel corso dei recenti, ultimi anni (ma basta sostituire i Grünen tedeschi, antesignani di tutti i vani tentativi di creare un partito-non-partito, con i greci di Syriza o con gli spagnoli di Podemos e la critica non muta di segno né fallisce il bersaglio, in relazione alla potenza corruttiva e vendicativa del potere politico una volta integrati nel sistema istituzionale, come peraltro ebbe ad affermare Bookchin nei suoi testi più tardi)1 – si concentra su una teoria politica dai forti risvolti pratici che segnano il lascito politico di Murray Bookchin. Sotto il titolo di Democrazia diretta, leggiamo alcuni dei testi centrali per focalizzare tanto la sua filosofia politica del Communalism, quanto la sua pratica sperimentale del municipalismo libertario ovverossia del confederalismo libertario.
Con Communalism, Bookchin intende offrire una linea di fuga affermativa alle istanze rivoluzionarie e radicali che si agitavano lui vivente e si sono agitate dopo la sua scomparsa, praticando concretamente modalità di agire politico e sociale che Bookchin aveva sottolineato e anticipato nei suoi scritti, senza volerne fare un profeta suo malgrado. In effetti, pratiche adottate da movimenti quali Occupy Wall Street, gli Indignados, alcuni aspetti delle rivolte arabe, ecc. risentono pur senza citarle delle suggestioni offerte da Bookchin in una miriade di interventi e di articoli scritti per la stampa radicale, rivoluzionaria e anarchica nel corso della sua esistenza, tutti segnati da una mobilitazione dal basso verso l'alto, da una acquisizione di consapevolezza della propria forza (empowerment sociale e politico, non solo di gender), dal ridimensionamento pensato delle formazioni istituenti un corpo burocratico e leaderistico, dai processi decisionali partecipati, diretti (face-to-face) e orizzontali, dalla rotazione delle cariche rappresentative immediatamente controllabili e revocabili, dalla concatenazione di luoghi politici decentralizzati a sfere concentriche crescenti e interdipendenti che coprono territori più ampi e coinvolgono quantità di individui sempre più numerose (sebbene Bookchin, a differenza dell'anarchismo e delle pratiche dei movimenti recenti orientati ala condivisione per consenso, si pronunci a favore di un processo decisionale su base maggioritaria).
* Prefazione al libro di Murray Bookchin Democrazia diretta (Elèuthera, 2015, pp. 104, € 12,00)
FONTE E ARTICOLO COMPLETO:http://www.arivista.org/?nr=403&pag=53.htm#1
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