In Arabia Saudita è stata eseguita la condanna a morte del famoso predicatore sciita Nimr al Nimr, accusato dalla monarchia saudita di sedizione, terrorismo e di aver collaborato con governi stranieri, per aver partecipato ad alcune proteste antigovernative nel 2011. Al Nimr è stato ucciso con quarantasei altri detenuti, accusati di “terrorismo”. Tra loro alcuni miliziani di Al Qaeda, accusati di aver partecipato agli attentati avvenuti nel paese tra il 2003 e il 2006.
L’uccisione di Al Nimr ha scatenato un’ondata di proteste in tutto il Medio Oriente;nel vicino Bahrein, ma anche in Libano, Iraq, Iran, India e Pakistan. La reazione più dura è stata quella di Teheran: il governo iraniano ha promesso di “farla pagare” a Riyadh e il leader supremo iraniano, l’ayatollah Ali Khamenei, su Twitter ha postato una foto di Al Nimr scrivendo: “Il risveglio non si può reprimere”.
In Iraq uno dei leader del partito sciita Dawa ha chiesto al governo di chiudere l’ambasciata saudita a Baghdad, riaperta di recente, e di eseguire le condanne a morte dei “terroristi sauditi” detenuti nel paese. Il movimento sciita libanese Hezbollah ha denunciato “un crimine perpetrato sulla base di false accuse”.
L’esecuzione di Al Nimr “scatenerà la rabbia dei giovani” sciiti in Arabia Saudita, ha dichiarato il fratello dell’imam, Mohammed al Nimr. “Ci saranno reazioni negative in patria e all’estero, ma ci auguriamo che siano pacifiche”, ha aggiunto.
Gli analisti temono che l’esecuzione di Al Nimr inasprirà la violenza settaria nella regione e peggiorerà le relazioni già tese tra Arabia Saudita e Iran, che appoggiano due fronti opposti, sia nella guerra in Siria sia nello Yemen. In un momento in cui si sta lavorando con successo a un processo di pace su tutti e due i fronti: il 25 gennaio è previsto che comincino i colloqui di pace per la Siria sotto l’egida dell’Onu e sempre a gennaio è in programma un secondo round di negoziati tra le diverse fazioni in guerra nello Yemen.
L’organizzazione per i diritti umani Amnesty international ha condannato l’esecuzione dell’imam che ha definito frutto di un processo “ingiusto” e ha detto che la decisione di Riyadh è motivata da “questioni politiche”.
Le 47 esecuzioni capitali del 2 gennaio sono le prime del 2016, in un paese che è stato più volte condannato dalle organizzazioni internazionali per il suo frequente ricorso alla pena di morte. L’anno scorso in Arabia Saudita sono state eseguite 153 condanne a morte, quasi il doppio rispetto al 2014 (87).
Chi era l’imam Nimr al Nimr
L’imam Nimr al Nimr, 56 anni, era un leader religioso sciita, oppositore della dinastia sunnita Al Saud, al governo dal 1926 in Arabia Saudita. Il religioso è stato una figura di spicco del movimento di protesta sorto nel 2011, sulla scia delle primavere arabe, nella parte orientale del paese.
La provincia orientale dell’Arabia Saudita, ricca di petrolio, è abitata da popolazioni di religione sciita, che sono escluse dai processi politici nel paese. In Arabia Saudita gli sciiti sono due milioni, su una popolazione di 18 milioni di persone: una minoranza che spesso è sottoposta ad abusi da parte delle forze di polizia ed è completamente estromessa dal potere. Per il wahabismo, un movimento ultraortodosso sunnita nato in Arabia Saudita e molto diffuso nel paese, gli sciiti non sono veri credenti.
L’imam Al Nimr era famoso per i suoi sermoni molto aggressivi nei confronti della casa reale: nel 2012 in un discorso si era detto contento per la morte del principe ereditario Nayef. Nel 2011, in un altro discorso aveva chiesto la secessione della regione orientale dell’Arabia dal resto del paese e la sua fusione con il vicino Bahrein, attraversato in quel momento dalla rivolta della maggioranza sciita contro la dinastia sunnita Al Khalifa. Al Nimr riscuoteva molto seguito tra i giovani di Qatif, il capoluogo della costa orientale del paese, per la sua durezza verso il governo saudita. Tuttavia Al Nimr non ha mai incitato a una rivolta armata o all’uso della violenza contro la casa reale.
L’imam era stato condannato a morte nell’ottobre 2014 per “terrorismo”, “sedizione”, “disobbedienza al sovrano” e “possesso di armi” da un tribunale di Riyadh. Il suo arresto nel luglio 2012 aveva provocato violente proteste in tutto il mondo. In molti si aspettavano che la condanna a morte, giudicata illegittima dalle organizzazioni per i diritti umani, sarebbe stata trasformata in un ergastolo. Tuttavia il re Salman, salito al potere dopo la morte del fratellastro, il re Abdullah nel gennaio del 2015, ha mostrato il pugno duro contro gli sciiti, ossessionato dalla minaccia politica rappresentata dall’Iran, importante potenza politica ed economica della regione.
Molti analisti ritengono che il re, che ha portato Riyadh in guerra contro i ribelli sciiti nello Yemen nell’aprile del 2015, non volesse concedere alcuna clemenza all’imam Al Nimr e anzi abbia voluto mandare un messaggio ai religiosi ultraortodossi in patria e una minaccia alle potenze straniere avversarie come l’Iran. In concomitanza con l’esecuzioni di Al Nimr la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita ha annunciato la fine del cessate il fuoco in vigore dal 15 dicembre nello Yemen. I ribelli houthi, di religione sciita, dal canto loro hanno definito Al Nimr “un eroe”.
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