Di Marcello Fumagalli
Nelle opere alchemiche è molto facile imbattersi nell’uso degli animali come simboli. Un gruppo importante di questi sono gli uccelli. Essi dominano l’elemento aria, anello tra la realtà terrena e il regno dei cieli. Osservando il loro volo, gli alchimisti credettero di riconoscere quindi un legame tra il volo e l’animo dell’uomo, la cui vocazione è quella di tendere alla spiritualità .
Il simbolismo degli uccelli acquisì pertanto la funzione della mediazione tra il mondo fisico e quello spirituale, riflettendo ciò che l’animo umano tende a fare per raggiungere la propria perfezione. Da qui il parallelo con i processi del lavoro alchemico, trasposizione mistica delle fasi attraverso cui l’uomo avrebbe raggiunto la perfezione, ovvero, la riuscita dell’esperimento di tramutazione in oro dei metalli vili.
Nelle riproduzioni iconografiche come nei testi, la sequenza dell’uso degli uccelli corrispondeva alla sequenza delle operazioni svolte, nelle storte del laboratorio, dagli alchimisti, e iniziava con il Corvo seguito dal Cigno, dal Pavone, dal Pellicano per finire con la Fenice. Nell’incisione il Pavone è sostituito dal Dragone, inizio della fase centrale che si risolve con la purificazione dell’animo dominando gli aspetti negativi dello stesso concludendo nella completa bellezza e splendore, rappresentata dalla molteplicità dei colori della coda del Pavone.
I processi fisici degli alchimisti risultavano essere un ciclo che prendeva vita da uno stato di disfacimento della materia in putrefazione o nigredo, per passare ad uno stato di albedo o calcinazione, proseguendo attraverso una rapida iridescenza, una distillazione a ricadere o «circolazione» e una finale «sublimazione». Attorno alla struttura armillare della conoscenza alchemica, un anello diviso in cinque parti riporta le rappresentazioni di diversi animali. Partendo da sinistra guardando l’incisione ritroviamo il Corvo, il Cigno, il Dragone mercuriale o Basilisco, il Pellicano e la Fenice.
Il corvo |
Il Cigno |
Il Basilisco L’animale fiabesco, rappresentato con il corpo da serpente, la testa di gallo, ali e zampe d’aquila, nel medioevo era considerato l’espressione infernale la cui triplice natura si anteponeva a quella divina. Fulcanelli nelle 'Dimore Filosofali', lo definisce come il «piccolo re», il «regulus» precorritore della primavera dell’Opera. Nelle numerose riproduzioni iconografiche del XV e XVIsecolo, il Basilisco è anche il dragone che sputa fuoco vivo capace di uccidere chiunque trovi sul suo cammino. Sant’Agostino lo definisce il "re dei serpenti", cioè il demonio. L’alito del basilisco è velenoso, come pure il suo sguardo e le leggende medioevali raccontano che l’unico modo per difendersi dall’«immonda fiera» era quello di usare uno specchio nel quale il drago, rispecchiandosi, avrebbe trovato la morte per opera del proprio veleno. La raffigurazione del Basilisco simboleggia la materia prima da trasformare che dallo stato vile passa a quello paradisiaco e perfetto. C. G. Jung nei suoi studi individua, in tutto ciò che è infimo, la prima materia a buon mercato da cui partire per lo svolgimento dell’Opera. I bestiari medioevali, a conferma della visione di Jung, usavano le allegorie dei più demoniaci animali quali il serpente, il drago, il basilisco, il corvo per identificare lo stato d’infimo ordine da cui partire per il raggiungimento del «tesoro dei tesori». Il Basilisco è così il malefico guardiano che deve essere battuto per aver accesso al tesoro, il simbolo del Mercurio Filosofale emblema della germinazione del Mondo, il Leviatano che dimora nelle acque, manifestazione della pioggia accompagnata da lampi e tuoni, segnali dell’attività celeste. |
Il Pellicano |
La simbologia del Pellicano fu impiegata in molteplici significati, fra cui quello della Pietra Filosofale, dell’interesse non egoistico all’ascesa verso la purificazione e nel rito massonico scozzese l’uccello indicava il grado di Rosacroce, anticamente definiti «Cavalieri di Rosa Croce» (1).
Nota:
1)-Alto grado del Rito Scozzese che si sviluppa nel ’700.
La Fenice |
Nell’opera l’iconografia dell’uccello viene dopo quella del Pellicano non solo nel rispetto della successione delle fasi alchemiche, ma anche nel significato rispetto a quello che lo precede. Infatti la sua capacità di ricrearsi acquisisce il significato divino nei confronti di quello umano del Pellicano. Il magnifico aspetto rosso dell’uccello (‘fenice’ deriva da una parola greca che significa ‘rosso’) evoca il fuoco creatore capace di dissolvere le tenebre della notte simboleggianti la condizione della morte, del peccato, dell’anima liberata dalla natura umana che l’opprime. Il simbolo alchimistico è molto diffuso e viene spesso impiegato per raffigurare la proprietà della Pietra Filosofale capace di moltiplicare e aumentare la quantità d’oro ottenibile dalla trattazione della vile materia prima. Nel lato sinistro della tavola la Fenice è riprodotta come simbolo maschile che protegge i due elementi fuoco e aria contenuti nelle due sfere sotto le sue ali.
Il Leone |
Nell’antichità il simbolismo del Leone ebbe un ampio impiego. Ciò dipese dalla sua natura forte e dalle sue sembianze. Il colore e la fulva criniera lo portarono ad essere associato al Sole, che con la sua energia illuminava e donava la vita. L’accostamento all’astro era già presente nelle culture primitive che vedevano nell’animale la maestosità della natura e la prosperità del periodo centrale dell’anno quando le stelle di maggiore grandezza brillavano nella notte e il Sole splendeva più intenso durante il giorno. Nell’iconografia egiziana il leone era molte volte ritratto in coppia, con lo sguardo di uno rivolto all’orizzonte, opposto dell’altro. Essi disegnavano l’arco che il sole compiva nel cielo andando da Est a Ovest, dal suo sorgere al suo tramontare. Il medesimo significato fu ripreso nel complesso codice dei filosofi alchemici che affidarono all’immagine del Leone giovane quella dell’alba e al Leone vecchio e malato quella del tramonto. Questa duplicità si tradusse nella distinzione alchemica tra Leone verde e rosso che materializzavano l’uno l’inizio e l’altro la fine dell’opera. L’oro era quindi il Leone rosso che divorava quello verde (1) e l’inquietante visione voleva essere il geroglifico del tortuoso percorso che l'alchimista avrebbe dovuto compiere per raggiungere la perfezione passando attraverso la lavorazione della materia prima cruda (2), il fuoco iniziatore, lo zolfo filosofico e finendo con l’ottenimento del re dei metalli, la polvere di proiezione, la Pietra Filosofale. Il Leone verde fu anche l’immagine traslata del mondo vegetale e minerale, e il Leone rosso l’esempio della materia rossa dimorante al fondo del vaso alchemico prima della sublimazione. Il Leone della tavola di Mattheus Merian è riprodotto in maniera classica come siamo abituati a vederlo negli stemmi araldici medioevali. La posizione eretta sulle gambe posteriori, le fauci aperte, le gambe anteriori distese e la lingua fuori era l’espressione della potenza, dell’aggressività e dell’alto rango che si sposava perfettamente allo spirito del principio maschile. Nella tavola il posizionamento del Leone, in questo caso verde, è infatti previsto nel lato dedicato ai principi maschili come il solvente universale, il fuoco originatore che si sprigiona dalla terra (riprodotto sulla montagnola), il Sole splendente e l’Adamo alchemico che, come il Leone, ha un piede su una stella a sette punte simbologia delle sette operazioni della Grande Opera. Il richiamo alle sette fasi è anche visibile nel collare del leone ove sono incastonate sette stelle.
Note:
1)- L’undicesima chiave di Basilio Valentino rappresenta chiaramente tale simbologia e non a caso fu utilizzata da Luca Jennis per l’edizione della Basilica philosophica di Mylius.
2)- Il Mercurio filosofico considerato la materia di partenza della grande opera.
I due Leoni L’immagine mostruosa centrale è la metafora del matrimonio dei contrari come la luna e il sole, l’acqua e il fuoco, lo zolfo e il mercurio, il Re e la Regina che nell’amplesso creeranno il nuovo essere. L’unica testa della figura deforme vomita il «bronzo dei filosofi», un «liquido dorato e vischioso» che simbolicamente raffigura il duenech (1) la materia nella fase della nigredo ancor prima della putrefactio. I due leoni uniti nella singola testa sono pure la raffigurazione dell’essere androgino simbolo della perfetta integrazione. Nota: 1)-‘Antimonio’, inteso come materia primordiale da cui l’addetto partiva per compiere l’opera. |
L'Aquila |
Il simbolo dell’aquila secondo C. G. Jung è un simbolo polivalente. Infatti il re degli uccelli acquisiva un significato differente se bianca o nera. Essa incarnava l’allegoria dell’alta divinità , del fuoco celeste, del sole, della nobiltà e dell’anima come parte dell’uomo appartenente a Dio.
L’impiego del simbolismo dell’aquila fu, nelle differenti civiltà , quasi sempre indirizzato all’espressione di «altitudine» che cambiava quando, con un volo in picchiata, l’uccello si scagliava contro la preda. Le figure emblematiche dell’aquila e del serpente furono la traduzione di tale dualismo.
La duplice figura dell’aquila e del serpente acquistava il significato del Cielo e della Terra, della lotta tra l’Angelo e il Demone, metafora del contrasto tra bene e male. In alchimia l’aquila è lo spirito costretto nella materia bruta che si libera solo dopo la fase di riscaldamento prolungato nell’athanor e si concretizza nell’alto dell’alambicco. L’aquila bianca fu percepita come una proiezione maschile associabile al potere soprannaturale e il suo sangue, nelle vecchie farmacopee, veniva prescritto come un rinvigorente delle forze e unico mezzo per ridonare la fecondità delle donne sterili.
Quando invece era ritratta nera o bruna il suo significato cambiava totalmente divenendo un segno notturno, lunare, femminile come quella effigiata nella tavola. Sotto l’ombra delle ali dell’aquila, sono poste le sfere dell’acqua e della terra disegnate con le sembianze di Poseidone e di un bosco.
Poseidone è l’iconografia delle acque primordiali dalle quali tutti i corpi prendono vita, sia quelli che abiteranno le acque sia quelli che vivranno sulla terra. La divinità è quindi la forza elementare non ancora organizzata alla ricerca dell' elemento iniziale, padre di ogni armonico sviluppo. Il bosco e in generale il simbolismo del paesaggio, è la terra centro della vita, simbolo femminile che Jung associa all’inconscio, immensa riserva di spirito vitale e di conoscenze misteriose.
FONTE:http://www.duepassinelmistero.com/animali_e_alchimia.htm
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