Di Dario Marchetti
Per fare passi in avanti nel settore del fotovoltaico non c’è bisogno di inventare nulla a partire da zero: basta ispirarsi a ciò che è già presente in natura. È quello che ha fatto il team di ricerca interdisciplinare formato da membri di Mit, Cnr, Eni, Università di Firenze e Università di Perugia, il cui ultimo studio è stato da poco pubblicato su Nature Materials con il titolo “Enhanced energy transport in genetically engineered excitonic networks”.
In sostanza gli scienziati hanno utilizzato delle antenne fotosintetiche artificiali, sviluppate nei laboratori del Mit e ottenute modificando geneticamente la struttura di un virus innocuo: in due punti precisi dell’organismo i ricercatori hanno “ancorato” due tipi di cromofori, quelli donatori, che assorbono la luce, e quelli accettori, che invece la ricevono.
La manipolazione del virus permette di controllare la distanza tra i cromofori, e quindi la forza di interazione tra questi, modificando l’efficienza del trasporto energetico: nella fotosintesi naturale la luce viene catturata da un ricettore proteico e poi trasmessa ad una catena di pigmenti (i cromofori, appunto), per arrivare al centro di reazione, dove si trasforma in energia biologica.
Ma mentre la fotosintesi ha un’efficienza inferiore all’1%, se il processo viene stimolato attraverso impulsi laser si arriva a un’efficienza molto vicina al 100%. Alla base di questo comportamento, secondo le ultime teorie, ci sarebbero i principi della fisica quantistica.
“Per le strutture geneticamente modificate – spiega Paolo De Natale, direttore dell’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr -, abbiamo misurato una propagazione due volte più veloce rispetto alle stesse antenne a base di virus non modificato, e di conseguenza distanze di propagazione maggiori del 67%”.
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