Di Maria Galantucci
Nel corso degli anni sono stati individuati due principali fenomeni strettamente collegati al sovraccarico informativo (Information Overload): l’Information Fatigue Sindrome (IFS) e l’Information Anxiety, entrambe causati dallo stress derivante dal dover fronteggiare una quantità eccessiva di dati.
L’Information Anxiety
Information Anxiety è un termine coniato da Richard Saul Wurman nel suo libro omonimo del 1989 ed individua una condizione di stress causata dall’impossibilità di accedere, capire o fare un uso dell’informazione necessaria. Wurman definisce l’ansia da informazione come “il prodotto del sempre più ampio divario tra ciò che capiamo e quello che pensiamo di capire. È il buco nero tra i dati e la conoscenza”. L’information Anxiety sembra essere un’entità distinta dall’Information Overload, seppure strettamente connessa a quest’ultimo. Gli studiosi Baron e Wood hanno concluso che i soggetti sviluppano l’ansia da informazione quando i compiti che stanno svolgendo diventano più complessi e quando aumenta il numero e la forza delle distrazioni. Inoltre gli individui manifestano l’Information Anxiety più frequentemente in compiti nuovi o con i quali non hanno ancora dimestichezza, piuttosto che in attività già consolidate.
L’ansia da informazione è dovuta, quindi, principalmente alle difficoltà nell’accedere ai dati piuttosto che alla sensazione di esserne bombardati e non sottolinea particolari manifestazioni fisiche come avviene nel caso dell’Information Fatigue Syndrome, più strettamente collegato all’Information Overload.
L’Information Fatigue Syndrome (IFS)
Nel 1990 la Reuters News Agency commissionò a David Lewis uno studio titolato “Dying For Information?”, riguardante i problemi di gestione dell’informazione, soprattutto nei luoghi di lavoro. Lewis individuò una serie di sintomi derivati dal fronteggiamento dell’Information Overload e li racchiuse nella sua sindrome da affaticamento informativo. Tra le manifestazioni più frequenti osservate nei knowledge workers, e in particolare nei manager, sono comprese:
- malumori e irritabilità;
- ansia e dubbi su di sé;
- insonnia;
- confusione e frustrazione;
- dolori di stomaco e mal di testa;
- dimenticanze.
Secondo Lewis, queste manifestazioni fisiche del sovraccarico informativo si tradurrebbero in un peggioramento della qualità delle decisione prese e in una paralisi della capacità analitica, la cosiddetta “paralysis for analysis”. Tale paralisi può infatti costringere il cervello a funzionare in modalità-panico, con una conseguente lettura erronea delle informazioni a disposizione: questo la maggior parte delle volte porta i professionisti a prendere decisioni avventate o viziate.
L’Information Fatigue Syndrome è un fenomeno che affligge in modo cronico chi per lavoro è costretto a gestire un notevole flusso informativo, ma si può anche verificare come una manifestazione occasionale.
Effetti e conseguenze psicologiche dell’evoluzione tecnologica sugli individui e nelle relazioni sociali
Tra gli effetti più immediatamente percepibili dell’ingresso delle nuove tecnologie nella vita degli individui emerge la ridotta capacità di concentrazione. Dover prestare attenzione a un elevato numero di stimoli contemporaneamente ci spinge a non dilungarci più su un singolo compito. Questo è particolarmente vero soprattutto nella navigazione web che ha profondamente modificato il nostro modo di rapportarci verso la lettura. Nicholas Carr, uno scrittore americano autore dell’articolo “Is Google Making Us Stupid?”, usa una metafora sul cambiamento nel suo modo di rapportarsi all’informazione: “Prima ero un subacqueo nel mare di parole, ora sfreccio sulla superficie come un ragazzo con la moto d’acqua”. Tale cambiamento sarebbe dovuto all’aspettativa di ottenere le informazioni nello stesso modo in cui la Rete le distribuisce, in un rapido flusso in movimento. Secondo i ricercatori della University College London gli utenti online non leggono più in senso tradizionale preferendo un tipo di lettura orizzontale basata su titoli, tavole dei contenuti e abstracts, alla ricerca di risultati più veloci. Stiamo diventando dei semplici decodificatori di informazioni e staremmo via via perdendo la capacità di interpretazione così come quella di costruire collegamenti mentali per un’analisi critica del testo.
Dovendo gestire più informazione di quanta possiamo effettivamente processarne, il rischio è di cadere vittime del confirmation bias, la tendenza a rimanere legati a un’idea che ci siamo fatti sulla base di informazioni preliminari anche quando evidenze successive contraddicono quell’idea. È una propensione naturale degli uomini, esacerbata dal fatto di aver a che fare con l’Information Overload. Se un individuo compie una ricerca per avere informazioni su uno specifico argomento, nel giro di pochi secondi Google gli restituisce diversi milioni di pagine visualizzabili: l’utente esamina i primi risultati della ricerca e si forma un’idea. Proseguendo nella navigazione tenderà a notare più facilmente le informazioni a sopporto della sua idea piuttosto che quelle contrarie.
Le nuove tecnologie stanno inoltre spingendo le persone verso l’individualismo: tenendo conto che prestiamo attenzione ai media (compresi televisione, cellulari, computer. ecc.) per circa 9,5 ore al giorno, il tempo rimanente per le interazioni sociali si sta riducendo. Sono soprattutto i giovani a essere colpiti da questa realtà. Susan Greenfield, neuroscienziata dell’Università di Oxford, ritiene che i nuovi media favoriscano un profondo cambiamento nel cervello dei giovani, riducendo l’attenzione e l’empatia, favorendo la gratificazione istantanea, impoverendo le relazioni umane. Una prolungata esposizione ai nuovi media potrebbe, inoltre, dare luogo a un ricablaggio delle connessioni cerebrali perché, dice Sue Palmer, scrittrice inglese che si occupa di educazione, il cervello dei giovani non si impegna più nelle attività nelle quali i cervelli umani si sono impegnati per millenni.
Come abbiamo visto nell’analisi storica, simili effetti sono stati riscontrati in tutte le epoche in cui un nuovo medium si imponeva sulla società ma non per questo dobbiamo avere l’erronea convinzione che per questo siano solo delle sciocche superstizioni. È invece più probabile che il nostro cervello abbia bisogno di tempo per adattarsi a nuovi strumenti di comunicazione. Il cambiamento porta molto spesso con sé sensazioni di affaticamento e confusione ma non per questo è necessariamente negativo. Il malessere, la sensazione di sovraccarico e le strategie di adattamento che mettiamo attualmente in atto per fronteggiare la quantità impressionante di dati sono, appunto, un adattamento che forse, in futuro, porterà il cervello degli esseri umani a essere meglio strutturato e connesso di quello di oggi. Anche l’avvento della scrittura ha avuto le sue ripercussioni ma senza quell’invenzione sicuramente non esisterebbe tutto il sapere di cui oggi disponiamo.
Patologie e dipendenze da informazione
Nell’ampia definizione di Internet Addiction Disorder (IAD) rientrano diversi tipi di dipendenze online come quella per il gioco d’azzardo o i giochi di ruolo, per il sesso e le relazioni virtuali, per lo shopping compulsivo e il sovraccarico cognitivo. Tale patologia colpisce prevalentemente chi ha già disturbi psichici preesistenti, come una storia di dipendenza, o psicopatologie come depressione o disturbi di tipo ossessivo compulsivo e bipolare. Ma lo sviluppo di una dipendenza in rete può coincidere anche con periodi di crisi dell’individuo, come nel caso di problemi lavorativi o familiari, oppure essere favorito dalle caratteristiche proprie del web, come il fatto di poter navigare in anonimato o sotto false identità. In questo contesto affronteremo nello specifico la dipendenza da informazione (Information Overload Addiction) e la cybercondria, una manifestazione online della più conosciuta ipocondria.
L’information Overload Addiction
Tale dipendenza è una delle ultime individuate fra le patologie online e consiste nella ricerca irrefrenabile e compulsiva di informazioni e notizie sul web, passando in modo ossessivo da un sito all’altro. Chi soffre di tale disturbo mette in atto dei veri e propri comportamenti compulsivi, utilizzando tutti gli strumenti di cui dispone per rimanere costantemente aggiornato: iscrizione a newsletters e feed RSS, controllo ossessivo della casella e-mail, aggiornamento continuo delle pagine web, monitoraggio costante dei social network.
Spesso la ricerca di informazioni si conclude con una grandissima quantità di materiale salvato sul computer o nei preferiti del browser, che però non aiutano l’individuo a prendere una decisione o a focalizzarsi su una singola informazione. Questo accade a causa dell’ovvio stato di confusione e sovraccarico che si viene a creare per via dei pareri discordanti e dell’imponente quantità di dati a sua disposizione. La sensazione dell’individuo dipendente da informazione è quella di non essere mai abbastanza informato, di correre il rischio di lasciarsi scappare qualche notizia di vitale importanza. Talvolta i dati che vengono cercati non hanno neanche una reale importanza per il soggetto ma assolvono al compito di impegnarlo in qualcosa ed evitargli pensieri frustranti. L’Information Overload Addiction risulta quindi essere una strategia di evitamento dei problemi reali per cui l’individuo soffre, un modo per mettere a tacere la sua ansia e la solitudine.
Il rischio di tale patologia è che il bisogno di rimanere costantemente aggiornato diventi invalidante al punto che la ricerca vada a esaurire tutto il tempo libero, o peggio lavorativo, dell’individuo.
Una nuova forma di ipocondria: la cybercondria
Il motore di ricerca Google ci informa che le ricerche più comuni effettuate sono relative alla parola “tumore”, “tumore al seno” e “tumore al colon”. Un fenomeno chesta recentemente prendendo piede è quello della cybercondria, cioè la tendenza ossessiva a informarsi sul web per problemi di salute veri o presunti. Secondo una stima del Censis, in Italia sono circa 16 milioni gli utenti che si connettono per cercare informazioni sanitarie e il 34% dei navigatori è interessato esclusivamente a dati medici. Il soggetto cybercondriaco compie una ricerca su Internet in base ai sintomi presunti o reali che avverte, facendosi un’idea sul proprio disturbo ed evitando di interpellare il proprio medico proprio per paura che gli confermi la sua auto-diagnosi. Nella maggior parte dei casi però, la conclusione a cui l’ipocondriaco è giunto non è corretta o comunque è da valutare e non fa altro che aumentare il suo stato d’ansia e di preoccupazione. Nel tentativo di trovare delle evidenze che contraddicano questa diagnosi, l’utente continua nella sua ricerca ma cade nell’effetto-paradosso di confermarlo ulteriormente e finisce con lo scegliere, tra le varie diagnosi proposte, quella peggiore.
Da uno studio del 2008 della Microsoft è emerso che gli utenti di solito guardano solo la prima coppia di risultati forniti dai motori di ricerca ed è così che un mal di testa si trasforma facilmente in un tumore e un formicolio in sintomo di Sla. La conseguenza è che gli utenti sentono il bisogno di approfondire le informazioni sulla presunta malattia, individuando così sintomi che non manifestavano all’inizio della ricerca, alimentando in questo modo lo stato d’ansia.
Parte del problema risiede anche nel fatto che molta dell’informazione medica sul web non è certificata, al contrario spesso sono gli utenti comuni a scrivere di malattie: l’ansia e la suggestione fanno il resto.
Nel tentativo di ovviare a tale problema la Health On The Net Foundation (HON) ha stilato un codice di comportamento in base al quale i siti iscritti hanno accettato di diffondere informazioni responsabili rendendo note le fonti. È stato introdotto anche MedHunt, un motore di ricerca che diffonde solo risultati provenienti da siti di fiducia.
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