DI NICOLA PINNA
«Mandavamo i soldi in Pakistan per le nostre famiglie e non per organizzare attentati». Sultan Wali Kan parla per la prima volta, dietro le sbarre: la Digos e la Dda di Cagliari lo considerano il capo della cellula italiana di Al Qaeda.
Il boss di un’organizzazione che da Olbia avrebbe pianificato il drammatico attentato al mercato di Peshawar nel 2009. In cella, ad aprile, sono finiti in undici e oggi per tutti è iniziato il processo. A Sassari, una città che per l’occasione si è risvegliata blindata: centro storico chiuso al traffico, tiratori scelti sui tetti, centinaia di poliziotti e aule blindatissime. Si temevano attentati o azioni dimostrative, anche perché questo è il primo processo a una banda di presunti jihadisti.
Sultan Wali Kan è considerato dalla Dda il personaggio più importante dell’organizzazione. Ma un ruolo chiave, nella progettazione di attentati e nel finanziamento della rete terroristica, lo avrebbe avuto anche Hafiz Muhammad Zulfikal, imam della provincia di Bergamo. Nei giorni degli attacchi di Parigi lo hanno accusato di aver festeggiato in cella, ma alla fine dell’udienza anche lui parla a La Stampa: «Gli agenti penitenziari contano tutti i passi che mettiamo in cella e guarda caso non hanno scritto nulla sui verbali a supporto di queste accuse. È evidente che si tratta di una grossa falsità».
A metà udienza nell’aula del tribunale si prega: alle 12,20 in punto gli undici imputati si rivolgono verso La Mecca e ripetono il rito quotidiano. Nel frattempo l’avvocatura dello Stato si costituisce parte civile. “Il fatto che gli attentati siano stati organizzati in Italia ovviamente ha provocato un grave danno d’immagine al nostro paese”, spiega l’avvocato Francesco Caput.
Dal 16 gennaio il processo riparte e in aula saranno ripercorse tutte le tappe dell’indagine (coordinata dal sostituto procuratore Danilo Tronci) iniziata nel 2005, interrotta per qualche tempo e poi conclusa ad aprile scorso. La battaglia si giocherà sull’interpretazione delle intercettazioni in lingua Urdu e in dialetto Pashtu.
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